Controlli e liti

Ruffini lancia l’allarme: «Riscossione da rifare»

Il direttore dell'agenzia delle Entrate: le inefficienze<br/>sul recupero pregiudicano anche l'accertamento di chi non dichiara o paga<br/>

di Marco Mobili e Giovanni Parente

Così non va. L’analisi però non viene dall’interno. A mettere a nudo le criticità che impediscono alla macchina del Fisco di aumentare i giri nel contrasto all’evasione è il numero uno dell’agenzia delle Entrate e di quella della Riscossione, Ernesto Maria Ruffini. Intervenendo al convegno «Riforma e giustizia fiscale» organizzato dalla Fp Cgil, Ruffini ha messo in chiaro che la riforma della riscossione è una priorità non più differibile proprio nell’ottica di dare maggiore credibilità all’accertamento. Senza capacità di incasso delle somme contestate anche la compliance – tanto sbandierata dalle forze politiche – si rivela inefficace nel più ampio obiettivo della lotta all’evasione. A preoccupare non è solo la riscossione. Il direttore delle Entrate ha posto anche l’accento sulle enormi potenzialità della fattura elettronica che restano però parzialmente inutilizzate per i vincoli imposti dalla privacy.

Il grido d’allarme sulla riscossione arriva proprio mentre sta entrando nel vivo il dibattito sulla riforma fiscale. Del resto, i parlamentari sono già consapevoli delle difficoltà in cui versa il sistema del recupero coattivo di tasse e multe: tema più volte sollevato da Ruffini in audizione. E la prossima settimana sarà il ministro dell’Economia Daniele Franco a illustrare le criticità esistenti alle Camere con la relazione sullo stato della riscossione prevista dal primo decreto Sostegni. Nel corso degli anni «il legislatore non ha fornito le norme necessarie» a far funzionare la riscossione ha detto Ruffini nel corso del convegno della Fp Cgil, anche se i numeri dimostrano che nel passaggio dalle esattorie private al concessionario pubblico gli incassi di ruoli sono triplicati. Resta, però, la montagna di crediti non riscossi: il cosiddetto «magazzino» contiene 930 miliardi da recuperare ma gran parte dei quali non hanno alcuna chance di ritornare nelle casse degli enti creditori (si veda il Sole 24 Ore del 3 giugno). Con il paradosso che i dipendenti della riscossione, pur sapendo che si tratta in prevalenza di ruoli inesigibili, sono obbligati ad attivare le procedure di notifica per evitare contestazioni di danno erariale.

«Se la riscossione non funziona, l’agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza non potranno mai sconfiggere l’evasione fiscale», ha aggiunto Ruffini, spiegando che «è necessaria quasi più urgentemente una riforma del sistema della riscossione, perché è questa che renderebbe credibile anche l’accertamento». Un allarme che al momento non sembra essere caduto nel vuoto. Il Governo è al lavoro per ridisegnare il sistema attuale e ha messo sotto osservazione proprio l’inesigibilità dei ruoli. L’idea di partenza sarebbe quella di annullare automaticamente tutti quei carichi che l’agente pubblico della riscossione non riesce a incassare nei cinque anni successivi alla data in cui sono stati affidati. È evidente però che il concessionario dovrà avere i poteri per andare all’incasso in tempi rapidi. Due aspetti su cui si è acceso il confronto nella maggioranza tra chi vede nella cancellazione dei ruoli un condono permanente e chi non intende pagare il prezzo politico di un eccesso di strumenti contro i contribuenti.

Il problema di fondo resta, però, il peso spropositato del sommerso. L’evasione fiscale è, secondo Ruffini, «un’indecenza da estirpare»: il tax gap è passato dagli 88 miliardi del 2011 a 79 miliardi nel 2018, «la strada è intrapresa e la digitalizzazione sta dando i suoi frutti», ma «la stiamo scalfendo, non demolendo». E proprio sul tema digitalizzazione è aperto un terreno di scontro con la privacy. «Siamo abituati a concedere senza problemi i nostri dati ai privati, sui social network, alle grandi aziende, ma quando si tratta del pubblico, emerge subito un problema di privacy proprio perché non ci sentiamo parte della cosa pubblica», ha rimarcato Ruffini. Più nel concreto la questione è che l’Agenzia «non può utilizzare la base dati della fatturazione elettronica in maniera piena perché ancora non sono stati superati i problemi di privacy». Da qui la considerazione che «la fattura elettronica non ha dato gli effetti sperati non perché non sia la via giusta, ma perché abbiamo un armadio pieno di dati che però non siamo in grado di utilizzare perché non siamo ancora autorizzati a farlo». Anche perché «con 32mila dipendenti a fronte di milioni di contribuenti è chiaro che il nostro lavoro debba poggiarsi soprattutto su strumenti di analisi dei dati».

Infine una critica allo spoil system. Dal «2015 a oggi i governi di turno hanno dato il via alla procedura di nomina del direttore delle Entrate sei volte» e , a detta dell’attuale numero uno, «in questo modo è difficile consolidare un’organizzazione così importante e complessa come l’Agenzia, che richiede una maggiore continuità dell’azione».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©