Imposte

Impatriati e remote working: regole chiare sugli incentivi

Con la risposta n. 904–383/2023, l’Agenzia ripercorrere i chiarimenti di prassi utili a inquadrare le corrette modalità di applicazione del beneficio fiscale: interpelli da limitare alle situazioni caratterizzate da obiettiva incertezza

di Davide Cagnoni e Angelo D'Ugo

Con la risposta a interpello n. 904–383/2023, non pubblicata, l’agenzia delle Entrate (Dre Lombardia) torna sul tema dell’applicabilità del regime fiscale per i lavoratori impatriati (articolo 16 del Dlgs 147/2015) alle ipotesi di “remote working” svolto a favore di un datore di lavoro estero. A conferma del crescente interesse per questa modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.

Il caso analizzato nella risposta – pur ritenuto inammissibile ai fini dell’interpello – offre lo spunto per ripercorrere i chiarimenti di prassi utili a inquadrare le corrette modalità di applicazione del beneficio fiscale in via autonoma, limitando gli interpelli alle situazioni caratterizzate da condizioni di obiettiva incertezza.

Come chiarito nella risposta, esistono infatti diversi punti fermi. In primo luogo, il lavoro da remoto può essere svolto da tutti i lavoratori in possesso dei requisiti, indipendentemente dalla loro cittadinanza (circolare 33/E/2020, par. 7.12). Di conseguenza, anche un lavoratore straniero che si trasferisce in Italia può accedere ai benefici previsti dal citato articolo 16.

Altro aspetto chiaro è che lo svolgimento dell’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano, ancorché con modalità “da remoto”, va verificato per ciascun periodo d’imposta e si configura se l’attività è prestata in Italia per più di 183 giorni nell’arco dell’anno (circolare 17/E/2017, paragrafo 3.3). Qualora il requisito dello svolgimento dell’attività lavorativa in Italia non dovesse sussistere per uno o più esercizi – ad esempio perché il lavoratore effettua trasferte di durata superiore a 183 giorni o viene temporaneamente distaccato all’estero – il beneficio non viene comunque perso in relazione alle altre annualità che formano il quinquennio di spettanza dell’agevolazione (risposta 621/2021).

A questo riguardo, è altresì confermato che il necessario collegamento tra il trasferimento della residenza in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa sussiste anche per i lavoratori che avviano in Italia attività di lavoro dipendente in modalità “smart/remote working”. Va tuttavia rimarcato che i redditi agevolabili sono solo quelli prodotti nel territorio italiano, ex articolo 23 del Tuir, anche se remunerati da un soggetto estero. In presenza, quindi, di soggetti che svolgono attività lavorativa di lavoro dipendente nella modalità “smart/remote working”, rileva il luogo dove il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato.

Come anticipato, nel caso esaminato (sottoposto da Arcangelo Agogliati, partner di B&C Tax, e Davide Vecchione, senior associate di B&C Tax, Ndr) l’Agenzia non si esprime in merito all’ammissibilità o meno della fattispecie rispetto agli incentivi fiscali, sottolineando la non utilizzabilità dell’istituto dell’interpello come mero supporto all’azzeramento del rischio di futura contestazione. Va però rilevato che i chiarimenti ad oggi forniti lasciano ancora alcune zone d’ombra, confermate anche dal contenzioso alimentato a volte anche a da interpretazioni di prassi eccessivamente restrittive rispetto al testo di legge.

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