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Terreni con cave o discariche, la deduzione passa da costi di estrazione o ripristino ambientale

L’ordinanza 27952/2021 della Cassazione ricorda che non si applicano i limiti fiscali previsti dalla disciplina degli ammortamenti dei beni materiali

di Giorgio Gavelli e Fabio Giommoni

L’ordinanza della Cassazione n. 27952/2021 affronta la problematica della deducibilità fiscale dell’ammortamento dei terreni, la quale è ammessa nei limitati casi in cui il valore del terreno si riduce nel corso del tempo, come accade, in particolare, per le aree adibite a cave e discariche.

L’ordinanza della Cassazione n. 27952 del 14 ottobre 2021 ha confermato il principio secondo il quale, in casi eccezionali, i terreni sono ammortizzabili e le relative quote di ammortamento sono deducibili nella determinazione del reddito di impresa.

Tale possibilità si verifica, in particolare, nell’ipotesi di terreni adibiti a discarica o destinati a cava, perché entrambi sono caratterizzati da una limitata possibilità di sfruttamento e da un deperimento fisico, con conseguente riduzione di valore nel corso del tempo.

L’ordinanza in commento riguarda il caso di una verifica svolta dall’agenzia delle Entrate di Catania conclusasi con un processo verbale di constatazione in data 31 luglio 2006 emesso nei confronti di una società esercente attività di estrazione e lavorazione di pietra lavica, produzione e messa in opera di conglomerati bituminosi e cementizi, nonché di gestione di una discarica di rifiuti inerti non pericolosi.

L’agenzia delle Entrate aveva poi notificato alla società, per l’anno d’imposta 2004, un avviso di accertamento con il quale si formulavano una serie di rilievi tra i quali la ripresa in aumento di euro 10.977,64 per spese dedotte quali quote di ammortamento di un terreno adibito a discarica e la ripresa in aumento di euro 9.746,15 per spese dedotte quali quote di ammortamento per l’annualità in oggetto con riferimento a due terreni acquistati nel 2002 e destinati ad essere adibiti a cava con utilizzo pluriennale.

Il pronunciamento della Cassazione offre lo spunto per ricapitolare le condizioni e i limiti individuati dalla giurisprudenza e dalla prassi per poter dedurre, in taluni specifici casi, le quote di ammortamento imputabili ai terreni.

I limitati casi in cui l’ammortamento del terreno è fiscalmente deducibile

Nell’ambito della disciplina del reddito di impresa non vi è alcuna norma che vieti espressamente la deduzione di quote di ammortamento dei terreni non edificati, ma occorre comunque considerare la disciplina generale che stabilisce i limiti massimi delle quote di ammortamento deducibili in base alle tabelle dei coefficienti di ammortamento di cui al Dm 31 dicembre 1988 i quali, a norma dell’articolo 102, comma 2, Tuir, sono stabiliti per categorie di beni omogenei in base al normale periodo di deperimento e consumo nei vari settori produttivi.

Tale criterio del deperimento e consumo risulta però generalmente inapplicabile ai terreni, in quanto tali beni non sono suscettibili né di deperimento né di consumo, come confermato dall’Amministrazione Finanziaria nella Circ. n. 11/9/358 del 10 aprile 1991, nella quale viene affermato che “i terreni, ancorché assolvono ad una funzione di strumentalità nell’esercizio delle attività, non sono ammortizzabili, atteso che, per la loro natura, non sono suscettibili di deperimento e consumo e, quindi, difettano del requisito richiesto, sia dalla normativa civilistica che da quella fiscale, perché l’ammortamento stesso possa essere effettuato”.

La stessa tabella dei coefficienti ministeriali di cui al Dm 31 dicembre 1988 non prevede una specifica voce intitolata ai “terreni”, per nessun settore di attività - salvo prevedere specifiche voci, tutte con aliquota dell’1%, per i terreni adibiti a piste di atterraggio, moli, linee e servizi ferroviari, autostrade - escludendo quindi la possibilità di applicare la disciplina di cui all’articolo 102, secondo comma, del Tuir ai terreni.

Ma ciò non preclude la ricerca, sul piano fiscale, di un diverso riferimento normativo a supporto del riconoscimento, a determinate condizioni, della deducibilità degli ammortamenti relativi a terreni, perché non può escludersi, in assoluto, qualsivoglia possibilità di deduzione dei costi per l’acquisto dei terreni, sulla base della considerazione che questi, di per sé, non sono, astrattamente, suscettibili di deperimento.

In tal senso la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha riconosciuto, in ipotesi assolutamente eccezionali, come in quella di un terreno destinato alla collocazione di impianti di distribuzioni di carburanti (cfr. sent. Cassazione sez. unite 26 aprile 2017, n. 10225), che il terreno, facente parte di un insieme unitario di beni (nella fattispecie si trattava di una stazione di servizio, chioschi, colonnine, etc.) possa usufruire della medesima disciplina fiscale dell’ammortamento ad essi riferita .

In generale, la Cassazione afferma che deve essere riconosciuta la deducibilità dei costi riferiti a quei terreni la cui destinazione, in relazione all’oggetto sociale, sia certamente strumentale all’esercizio dell’attività d’impresa, ma i cui costi d’acquisto non siano di per sé ammortizzabili in relazione all’ articolo 102 del Tuir ed alla relativa tabella dei coefficienti di ammortamento.

In tal senso la recente ordinanza della Cassazione n. 27952/2021 ha confermato la deducibilità degli ammortamenti relativi a terreni adibiti a discarica, quanto quelli destinati a cava, perché questi sono caratterizzati da una limitata possibilità di sfruttamento, nel tempo, in ragione del riempimento della cavità destinata a discarica, per i primi e dell’esaurimento del materiale suscettibile di estrazione, per i secondi.

Peraltro, la stessa Amministrazione finanziaria ha in passato ritenuto ammissibile la deducibilità degli ammortamenti relativi ai terreni nelle ipotesi in cui questi siano destinati a cave (risoluzione 9/082 del 2 maggio 1977), oppure siano permanentemente adibiti da imprese edili a depositi di materiali (risoluzione 7/1579 del 16 febbraio 1982).

Ma alla conclusione circa la possibilità di ammettere, sebbene solo in taluni eccezionali casi, la deducibilità fiscale dell’ammortamento dei terreni si perviene anche alla luce del «principio di derivazione» previsto ai fini della determinazione del reddito di impresa dall’articolo 83 del Tuir.

Non deve essere necessariamente chiamata in causa la derivazione «rafforzata», ma pare sufficiente ricorrere anche solo a quella «semplice», perché nessuna norma fiscale vieta espressamente la deducibilità degli ammortamenti dei terreni edificati.

Nell’ambito delle regole sulla formazione del bilancio d’esercizio sono, invece, individuabili ipotesi in cui il terreno deve essere ammortizzato, in ragione del principio generale sancito dall’articolo 2426, comma 1, n. 2 del Codice Civile, secondo cui il costo delle immobilizzazioni materiali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo, deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione.

A tale riguardo, la vigente versione principio contabile Oic 16 precisa al paragrafo 58 che «tutti i cespiti sono ammortizzati tranne i cespiti la cui utilità non si esaurisce, come i terreni e le opere d’arte» e al paragrafo 60 che «i terreni non sono oggetto di ammortamento salvo nei casi in cui essi abbiano un’utilità destinata ad esaurirsi nel tempo come nel caso delle cave e dei siti utilizzati per le discariche».
I principi contabili nazionali confermano, pertanto, che i terreni adibiti a cave e a discariche rientrano, ai fini civilistici, tra i beni ammortizzabili .
Nel corpo dei principi contabili internazionali è lo Ias 16 ad affermare la possibilità di ammortizzare il costo dei terreni adibiti a cave e dei siti utilizzati per discariche.

Peraltro, il richiamo ai predetti principi civilistici è effettuato dalla stessa citata sentenza n. 10225/2017 della Cassazione, Sezione unite, la quale ha affermato che alle suddette fattispecie di terreni ammortizzabili contabilmente va accostata quella dei terreni su cui insistono impianti di distribuzione di carburante, perché questi subiscono, a causa del loro specifico utilizzo, una peculiare ed inquinante mineralizzazione da idrocarburi che la legge impone di eliminare, una volta dismesso l’impianto, mediante particolari operazioni di smantellamento, rimozione e bonifica demineralizzante.

In sostanza, nel caso oggetto della predetta sentenza, il costo economico della bonifica (ove sia tanto elevato da approssimarsi al valore residuo del bene) comporta un deperimento economico del terreno derivante da quello fisico-chimico del suolo, impregnato di idrocarburi, cosicché il terreno possa essere ammortizzato e le relative quote dedotte fiscalmente.

Da ultimo occorre precisare che, come ben evidenziato dalla predetta sentenza delle Sezioni Unite n. 10225/2017, la possibilità di ammortizzare e dedurre le quote di ammortamento relative ai terreni la cui utilità destinata ad esaurirsi nel tempo prescinde dalla disciplina fiscale di cui all’articolo 36, comma 7 del Dl 4 luglio 2006, n. 223, secondo cui, ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili, il costo dei fabbricati strumentali deve essere assunto al netto del costo delle aree occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza.

Tale disposizione, infatti, prevede soltanto che ai fini della determinazione delle quote di ammortamento fiscali il costo dei fabbricati deve essere tenuto separato da quello dei terreni occupati dal medesimo fabbricato, ma non esclude la possibilità di ammortizzare anche il costo imputato ai terreni e dedurre le relative quote di ammortamento.

Analogamente è irrilevante l’analoga previsione del principio Oic 16 (paragrafo 60) secondo cui «se il valore dei fabbricati incorpora anche quello dei terreni sui quali insistono, il valore del fabbricato va scorporato, anche in base a stime, per determinarne il corretto ammortamento», perché anche in questo caso lo scorporo non esclude l’ammortamento del costo del terreno, ove ne ricorrano le citate eccezionali condizioni previste dal medesimo Oic 16.

Per completezza si ricorda che la stessa Cassazione (ordinanza n. 22932/2018) ha affermato che I costi di acquisizione dei terreni destinati allo svolgimento dell’attività di autolavaggio non sono ammortizzabili, in quanto essi, pur avendo una funzione strumentale all’attività d’impresa, hanno una vita utile illimitata, non essendo soggetti a logorio fisico ed economico.

I limiti di deducibilità relativi a terreni adibiti a cave e discariche

Ma l’ordinanza della Cassazione n. 27952/2021 è di assoluto interesse non solo perché conferma la possibilità di ammortizzare, in taluni casi eccezionali come per le cave e le discariche, gli ammortamenti relativi ai terreni, ma anche per quanto questa afferma circa le modalità di individuazione dei limiti entro i quali detti ammortamenti sono deducibili nella determinazione del reddito di impresa.

Si è infatti detto in precedenza che la disciplina fiscale dell’ammortamento dei terreni non può essere ricompresa nelle previsioni dell’articolo 102, comma 2, Tuir, e della normativa secondaria di cui al Dm 31 dicembre 1988, le quali non contemplano le fattispecie relative ai terreni ammortizzabili.

Tale assunto è confermato dall’ordinanza in commento la quale ha sostenuto che non è legittima la modalità di determinazione dei costi deducibili della cava in relazione al coefficiente di ammortamento dell’8%, di cui alla tabella approvata con il Dm 31 dicembre 1988 (Fabbricati destinati all’industria - voce «Cave»), invocata dal contribuente oggetto di verifica ed accolta dalla Commissione tributaria di secondo grado.

Secondo la Cassazione detta voce è, infatti, da intendersi comunque riferita ai fabbricati che insistono sull’area adibita a «cava», cioè all’estrazione di materiale inerte.

Invece, ciò che può essere portato in deduzione in ciascun anno di riferimento, in ragione del rapporto con il deperimento alla capacità di sfruttamento dell’area, è la quota di costo del terreno in proporzione alla quantità di prodotto scavata nell’anno e ciò dunque, in relazione non all’articolo 102, ma all’articolo 108, terzo comma, Tuir, secondo cui «le altre spese relative a più esercizi, diverse da quelle considerate nei commi 1 e 2 sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio» (si tratta della formulazione previgente, poi trasfusa nel nuovo comma 1 del medesimo articolo a fronte delle modifiche apportate dall’articolo 13-bis del Dl 244/2016, inserito in sede di conversione dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19).

In tal senso già la Cassazione con la sentenza del 10 aprile 2006 n. 8344, aveva chiarito, nella vigenza dell’analoga disposizione di cui all’articolo 74 , terzo comma, Tuir nel testo anteriore alla riforma del 2004, con riferimento a terreni acquistati per essere adibiti per l’estrazione di materiale di cava, che la ripartizione pluriennale dei costi non può avvenire, sic et simpliciter, applicandosi i criteri legali stabiliti per gli ammortamenti, dovendo l’impresa indicare specifici criteri commisurati alla durata dell’utilità del bene, al fine di stabilire la quota di costo imputabile a ciascun esercizio.

Nell’occasione era stato rilevato che si sarebbe dovuto dedurre la quota di costo del terreno in proporzione alla quantità di prodotto scavato nell’anno.

In tal senso si era peraltro già espressa in passato anche l’Amministrazione Finanziaria, con la risoluzione 9/082 del 2 maggio 1977, la quale, partendo dal presupposto che il costo di acquisto di una cava ha natura di costo pluriennale, ha ritenuto applicabile la disciplina che prevede la deduzione di tali costi nel limite della quota imputabile a ciascun periodo d’imposta, tenendo presente che l’utilizzo di una cava varia a seconda della potenzialità di sfruttamento dell’impresa e della durata dello sfruttamento stesso.

Secondo quanto indicato nel documento di prassi, per l’ammortamento di una cava occorre operare nel seguente modo:

a) stimare il valore residuo del terreno alla fine del suo sfruttamento (come cava o torbiera) ed iscriverlo nello stato patrimoniale alla voce terreni;
b) registrare la differenza fra il costo d’acquisto ed il suo valore finale sempre nello stato patrimoniale e dedurlo come spesa pluriennale ai sensi dell’articolo 108, comma 1, del Tuir;
c) procedere all’imputazione di tale spesa per quote annuali nel periodo stimato di sfruttamento del terreno (es: durata della concessione); tali quote non saranno costanti, ma dovranno essere calcolate in funzione della quantità di materiale estratto (limite della quota imputabile a ciascun esercizio ex articolo 108, comma 1 del Tuir, in base alla potenzialità di sfruttamento da parte dell’impresa e alla durata dello sfruttamento del terreno).

Le stesse considerazioni valgono, secondo l’ordinanza della Cassazione n. 27952/2021 in commento, per l’ammortamento dei terreni destinati a discarica.

Infatti, anche i costi di acquisto dei terreni adibiti a discarica non sono suscettibili di deduzione in relazione ai criteri legali della disciplina in tema di ammortamento di beni materiali, bensì in relazione alla ripartizione delle spese relative a più esercizi di cui all’articolo 108, comma 1, del Tuir.

In tal caso l’impresa deve indicare i criteri per la determinazione della quota di costo imputabile all’esercizio di riferimento che, per i terreni adibiti a discarica, è rappresentata dalla quota di costo in relazione alle spese per la predisposizione del sito all’uso in questione nonché per il ripristino ambientale incidenti per l’anno di riferimento.

In passato, l’Amministrazione finanziaria, nella risoluzione 2 giugno 1998, n. 52/E ha considerato ammissibile il seguente comportamento da parte del concessionario:

imputazione (anche fiscale) fra i costi annuali di quelli determinati oggettivamente in base alla quantità di materiale scavato o depositato rispetto a quella totale stimata ed indicata nella convenzione, esponendoli in un prospetto analitico annuale che permetta un confronto finale con i costi effettivamente sostenuti;
predisposizione nell’anno di effettivo sostenimento del costo per il ripristino di un prospetto riepilogativo di quelli annuali precedenti il cui risultato dovrà essere confrontato con il costo effettivamente sostenuto; eventuali scostamenti genereranno sopravvenienze attive o passive.

In conclusione, la deducibilità dei costi per l’acquisizione dei terreni adibiti a discarica o a cava non è soggetta ai limiti fiscali previsti dalla disciplina degli ammortamenti dei beni materiali di cui all’articolo 102 del Tuir, bensì rientra nella disciplina delle spese relative a più esercizi di cui all’articolo 108, comma 1 del Tuir (previgente articolo 108, comma 3, Tuir), nell’ambito della quale l’impresa è tenuta ad indicare e motivare i criteri per la determinazione della quota di costo pluriennale imputabile a ciascun esercizio di riferimento.


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