Accantonamenti su rischi, deducibilità «vincolata»
Il metodo contabile prescritto per la deducibilità degli accantonamenti su rischi di cambi implica una valutazione di tipo forfettario e si configura come alternativo e disomogeneo rispetto a quello consistente nella conversione di tutti i crediti e debiti in valuta estera al cambio in vigore alla data di chiusura dell'esercizio. È quanto affermato dalla sentenza 9856/2016 della Cassazione .
A una società, per l'anno d'imposta 2000, viene notificato un avviso di accertamento, con il quale l'ufficio contesta ai fini Irpeg tra l'altro, la valutazione contabile degli accantonamenti su rischi per i cambi effettuata nella dichiarazione dei redditi. La società impugna l'accertamento e sia la Ctp che la Ctr confermano la legittimità del rilievo. In particolare secondo la Ctr è conforme a norma di legge il criterio di valutazione utilizzato dall'ufficio, aggiungendo che malamente la società ha applicato contestualmente le disposizioni degli articoli 72 e 76 del Dpr 917/1986, nel testo vigente all'epoca dei fatti, i quali, di contro, delineano metodi di valutazione alternativa.
Ne deriva il ricorso in Cassazione della società contribuente, rigettato sul punto. La Suprema corte ricostruisce il contesto normativo vigente all'epoca dei fatti e la diversa ratio sottesa agli articoli 72 e 76 del vecchio Tuir, contenenti criteri di valutazione degli accantonamenti in parola differenti ed alternativi, non suscettibili di applicazione contestuale (come asserito dalla parte privata). L'articolo 72 invero, ispirato al principio di globalità, impone una valutazione complessiva di tipo forfettario, volta a compensare le differenze di cambio attive e passive che si generano su tutti i crediti e i debiti in valuta, evidenziandone il risultato netto. Il metodo prevede la correzione indiretta delle partite, mantenute ai valori storici nello stato patrimoniale, mediante l'iscrizione, nel passivo dello stato patrimoniale, del fondo rischi e l'imputazione a conto economico delle differenze di conversione, sia negative sia positive.
L'articolo 76, invece, riconosce al contribuente la facoltà non già di operare in maniera forfettaria una compensazione, secondo una logica matematica, ma bensì di procedere alla conversione diretta dei singoli crediti e debiti in moneta estera, ancora in essere in bilancio alla data di chiusura dell'esercizio, al cambio puntuale vigente a tale data.
Pertanto il criterio di valutazione utilizzato dalla società contribuente riferito al «tasso medio dell'ultimo mese di esercizio» rappresenta una inammissibile, oltre che arbitraria, commistione tra i due metodi di valutazione, di cui ne viene rimarcata l'alternatività.
Cassazione, sentenza 9856/2016