Imposte

Acquisto di ecobonus: tassazione da ripensare

Le Entrate valutano il differenziale come sopravvenienza, ma ha natura finanziaria

ADOBESTOCK

di Giorgio Gavelli

Per le Entrate il differenziale tra il valore nominale del credito derivante dalla detrazione per l’ecobonus e la somma pagata per il suo acquisto è una sopravvenienza attiva imponibile nel periodo in cui il credito è acquisito (interpello 105/2020).
La risposta pare opinabile sotto più di un aspetto e sembra ci sia spazio per un riesame della questione. In effetti, l’interpello riguardava un diverso interrogativo (se il beneficiario della cessione può essere una società appartenente alla rete d’imprese a cui partecipa chi ha effettuato i lavori) e l’imposizione del differenziale viene affrontata, velocemente, solo nelle ultime righe.

Il caso concreto

Vediamo il caso più comune. Un privato effettua un lavoro agevolato e cede l’ecobonus ai sensi dell’articolo 14 del Dl 63/2013. Cessione che di solito avviene a un corrispettivo inferiore al valore nominale. Nell’interpello veniva ipotizzato che un credito di nominali 100 fosse ceduto a 60. L’acquirente, quindi, paga 60 ciò che userà in compensazione in dieci quote annuali da 10. Il punto è: i 40 sono imponibili? Se sì, a quale titolo e quando? La tesi dell’Agenzia è che si tratti di una sopravvenienza attiva, interamente imponibile al momento della sua acquisizione (non meglio declinata: potrebbe trattarsi dell’atto stipulato tra cedente e cessionario o della successiva accettazione da parte di quest’ultimo nel proprio cassetto fiscale, come previsto dai decreti attuativi). Tuttavia l’esame dell’articolo 88 del Tuir non conferma questa tesi: al comma 1 si richiamano ricavi o proventi derivanti da costi o passività (o minori proventi) di precedenti esercizi, o la sopravvenuta insussistenza di oneri o passività; al comma 3 si citano risarcimenti, contributi e liberalità. Nulla che riguardi il caso specifico. Lo stesso articolo 88, poi, al comma 4-bis, afferma un concetto incompatibile con la conclusione dell’Agenzia: quando un’impresa acquista un credito per un valore inferiore al nominale lo si iscrive contabilmente al costo di acquisto e non emerge materia imponibile. Solo in caso di successivo incasso a un valore superiore al nominale si genera un imponibile; mentre in caso di rinuncia, il legislatore fa sorgere la sopravvenienza in capo al debitore.


Da queste disposizioni emerge che finché l’utilizzo del credito non azzera il costo di acquisto (nel nostro esempio fino alla sesta quota di compensazione) non si forma reddito imponibile: la “partita” si gioca solo a livello patrimoniale. Sono le successive quote, eventualmente, a rilevare, man a mano che la compensazione ne determina l’incasso. Anche se, a dire il vero, pensare che un bonus, che è un “costo” per l’Erario, si trasformi in materia imponibile, pare proprio fuori luogo.
Sembra più “calzante” l’irrilevanza fiscale prevista al comma 4 dell’articolo 118 per i corrispettivi dei vantaggi ricevuti o attribuiti in pendenza di consolidato fiscale. Ma il legislatore, qui, non ci ha pensato, così come non ha pensato a disciplinare l’Irap né il comportamento da tenere ai fini dell’articolo 96 del Tuir. Questo differenziale ha una natura finanziaria (più che di sopravvenienza) per cui – almeno per le imprese non finanziarie – dovrebbe esserne riconosciuta l’irrilevanza Irap e l’inserimento tra i proventi finanziari assimilati ex articolo 96, comma 3.

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