Imposte

Aliquote di ammortamento da aggiornare

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di Giacomo Albano

Le politiche di incentivazione all’acquisto dei beni strumentali dovrebbero essere accompagnate da una revisione dei coefficienti di ammortamento fiscale, tenuto conto che gli stessi sono immutatati da oltre 30 anni, e pertanto le percentuali fissate dal Dm 31 dicembre 1988 (così come le categorie di beni previste nel Dm stesso) spesso non riflettono le attuali condizioni tecnologiche e di usura dei beni impiegati nei processi produttivi.

La modifica dei coefficienti di ammortamento, peraltro, era stata espressamente prevista dall’articolo 6 del Dl 78/2009, proprio per tener conto della mutata incidenza sui processi produttivi dei beni a più avanzata tecnologia, ma la misura è rimasta inattuata da oltre 10 anni. Peraltro, si tratta di un intervento che potrebbe essere realizzato con costi ridotti, accorciando il periodo di ammortamento fiscale di determinate categorie di cespiti e contestualmente allungando il periodo di ammortamento di altre categorie, anche nell’ottica di favorire determinate tipologie di beni ritenuti maggiormente “meritevoli” (ad esempio beni a maggiore efficienza energetica o a minore impatto ambientale o impiegati in settori ritenuti maggiormente strategici) rispetto ad altri.


Operazioni straordinarie
La crescita dimensionale delle imprese italiane può essere favorita attraverso specifici incentivi fiscali alle aggregazioni tra imprese indipendenti. Una misura di questo tipo, in effetti, è stata introdotta dal Decreto Crescita ed è applicabile alle aggregazioni aziendali realizzate entro il 31 dicembre 2022, ma finora ha avuto uno scarso appeal anche per gli impatti limitati degli interventi previsti; l’attuale bonus aggregazioni, infatti, prevede l’affrancamento gratuito dell’avviamento e del maggior valore attribuito ai beni strumentali che emergono a seguito di operazioni di fusione, scissione e conferimento di azienda fino al limite di cinque milioni di euro. Per rappresentare un reale incentivo alle aggregazioni aziendali, andrebbe incrementata la soglia dei 5 milioni e inoltre il bonus andrebbe rafforzato con la previsione di un’accelerazione dell’ammortamento (in particolare sull’avviamento, che potrebbe essere reso deducibile in 5 esercizi). Sempre in tema di operazioni straordinarie, andrebbe inoltre rivista al ribasso l’aliquota dell’imposta sostitutiva (attualmente dal 12% al 16%) per affrancare i maggiori valori dei beni che emergono da fusioni, scissioni e conferimenti, tenuto conto che le percentuali non sono state adeguate alla riduzione dell’aliquota Ires al 24% e, pertanto, oggi la convenienza ad optare per l’affrancamento dei beni e dell’avviamento (in particolare, nell’ambito del regime ordinario previsto dal Tuir) è decisamente ridotta.

Mini-Ires
La decisione di abrogare l’Ace per introdurre la mini Ires è stata una scelta che è apparsa da subito non condivisibile. Non solo perché si è eliminato un incentivo “rodato” e ormai acquisito al tessuto imprenditoriale per introdurne uno nuovo, avente analoghe finalità (rafforzare l’apparato patrimoniale del nostro sistema imprenditoriale), ma con un funzionamento molto più complesso, ma soprattutto perché con l’abrogazione dell’Ace è stata in qualche modo “tradita” la fiducia degli investitori che avevano immesso capitale di rischio nelle imprese.

Gli incentivi alla capitalizzazione come l’Ace, infatti, rappresentano un incentivo permanente a fronte del capitale di rischio apportato e, pertanto, l’aspettativa degli investitori – nell’ambito di un sistema fiscale stabile e trasparente - è che il beneficio permanga nel tempo. In tal senso, l’eliminazione integrale dell’incentivo, con il venir meno della deduzione nozionale anche a fronte di capitalizzazioni già effettuate, è stato visto dagli investitori, in particolare esteri, come espressione di un sistema fiscale instabile, che non consente pianificazioni fiscali a lungo termine. L’introduzione della Mini-Ires, anche a seguito della revisione rispetto alla prima versione, non è apparsa una misura idonea a compensare tali effetti. Posto che recuperare la fiducia degli investitori oggi non è semplice, il legislatore si trova di fronte ad una scelta: proseguire sulla strada della Mini-Ires, magari rafforzandola e semplificandola ulteriormente, o tornare indietro e ripristinare l’Ace.

Credito ricerca e sviluppo
Si tratta di una misura fondamentale, ed in vigore in gran parte dei Paesi europei, per favorire gli investimenti in ricerca e sviluppo da parte delle imprese operanti sul territorio italiano. L’attuale incentivo, introdotto dal Dl 145/2013 e più volte modificato (da ultimo dalla (Legge di Bilancio 2019), ha carattere temporaneo e non strutturale e scadrà nel al 2020. E’ importante prorogare quanto prima il bonus R&S, per continuare ad attrarre investimenti ad alto valore aggiunto, favorendo sia le imprese italiane che investono in ricerca sia i centri di ricerca localizzati in Italia. La proroga temporale del credito R&S andrebbe inoltre accompagnata ad una serie di misure che ne consentano una stabilizzazione, considerate le numerose modifiche finora intervenute sulla disciplina, che hanno a volte disorientato le imprese, in particolare quelle multinazionali che hanno maggiore flessibilità nella scelta di localizzare gli investimenti in ricerca. In tale ottica, potrebbe essere opportuno rendere la misura strutturale e svincolare la stessa dall’attuale approccio incrementale. Oggi infatti, il credito d’imposta è determinato come percentuale (del 50% o 25%) di determinate spese sostenute in eccedenza rispetto alla media delle medesime tipologie di spesa realizzate nel triennio 2012-2014, mentre se la misura fosse resa strutturale potrebbe essere prevista come mera percentuale degli investimenti effettuati, eventualmente con l’applicazione di aliquote decrescenti per evitare una concentrazione eccessiva di risorse in favore delle grandi imprese. (Giacomo Albano)

Patent box
Il rilancio del patent box deve essere una delle priorità dell’agenda fiscale del nuovo governo. A pochi mesi dalla conclusione del primo quinquennio di applicazione dell’incentivo, sono ancora troppe le imprese che non hanno indicazioni sull’effettivo beneficio spettante. La misura introdotta dal Decreto Crescita, che consente alle imprese di autodeterminare il reddito da patent box senza dover necessariamente intraprendere la procedura di ruling obbligatorio, è sicuramente un primo passo per la concreta fruizione del bonus da parte delle imprese (che non sono più vincolate ai tempi del contraddittorio con le Entrate), ma non può essere efficace senza misure che rendano certe le modalità di determinazione del reddito agevolato.

Servono quindi istruzioni chiare, che consentano alle imprese di calcolare con ragionevole certezza il beneficio spettante, tenuto conto, peraltro, che le procedure di ruling finora concluse hanno riguardato in gran parte i marchi, ovvero intangibili che non saranno più agevolabili a partire dal 2020, in ossequio alle regole Ocse.

Vi sono, poi, interi settori imprenditoriali per i quali le procedure di ruling sono state finora “sospese”, in attesa di valutazioni da parte delle Entrate sulle modalità di determinazione del reddito agevolato. Ed è paradossale che tra questi settori ve ne siano alcuni che, nell’esperienza di altri Paesi europei, sono quelli beneficiano più di altri dal regime di patent box (si pensi al settore farmaceutico).

Transfer Pricing
Le aliquote fiscali ed il livello di imposizione hanno sicuramente un peso di rilievo per rendere attrattivo un Paese agli investitori esteri, ma non va trascurata l’importanza di avere un ordinamento fiscale che consenta di pianificare gli investimenti minimizzando i rischi fiscali. Sotto questo profilo la certezza nell’applicazione della normativa tributaria può avere un peso di rilievo nella scelta di un gruppo multinazionale di investire in Italia.
Va detto che negli ultimi anni il nostro Paese ha fatto grossi passi in avanti per adeguare il nostro ordinamento fiscale agli standard internazionali. Si pensi alla disciplina del transfer pricing, con il Dm del 14 maggio 2018 che ha allineato la normativa italiana alle linee guida Ocse su una serie di aspetti prima controversi (quali la scelta del metodo, il posizionamento nell’intervallo, le analisi di benchmark, i servizi a basso valore aggiunto), ma i comportamenti degli Uffici delle Entrate appaiono ancoro troppo disomogenei e spesso poco comprensibili per gli investitori esteri. Andrebbe inoltre agevolata la possibilità di concludere accordi preventivi in materia di transfer pricing, accelerando i tempi delle procedure di ruling finora spesso caratterizzate da tempi troppo lunghi, così come andrebbe ulteriormente diffuso (ed accelerato) lo strumento delle procedure amichevoli (Map) a seguito di rettifiche in materia di Tp.

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