Controlli e liti

Antieconomicità, linea dura della Cassazione: spetta al contribuente ribaltare la contestazione

L’ordinanza 1282/2021: la società deve provare la veridicità della perdita dichiarata

di Dario Deotto

Una volta contestata dall’agenzia delle Entrate l’antieconomicità di un comportamento posto in essere dal contribuente, incombe su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria. Lo stabilisce l’ordinanza 1282/2021 della Cassazione del 22 gennaio.

Le conclusioni della Corte risultano raggelanti. La Cassazione dice proprio così: «Una volta contestata dall’erario l’antieconomicità di un comportamento posto in essere dal contribuente, poiché assolutamente contrario ai canoni dell’economia, incombe sul medesimo l’onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni». Con la conseguenza che risulta «a carico della società la prova contraria, cioè la veridicità della perdita dichiarata».

In sostanza, basterebbe, secondo la Cassazione, che un contribuente – come nel caso in questione – dichiari perdite per giustificare un accertamento analitico-induttivo (la pronuncia fa in qualche punto riferimento all’accertamento induttivo in senso ampio, ma nel caso di specie si trattava di una rettifica analitico-induttiva, ai sensi dell’articolo 39, primo comma, lettera d), secondo periodo, del Dpr 600/1973).

Francamente, dopo che la stessa Cassazione, a partire dall’ordinanza 450/2018 ha (finalmente) correttamente riportato – come anche rilevato dalla Corte costituzionale, con sentenza 262/2020 - che il principio di inerenza è un giudizio di carattere qualitativo che prescinde da valutazioni di tipo “utilitaristico” o quantitativo, escludendosi quindi la possibilità per il Fisco di rettificare, sulla scorta dell’articolo 109, comma 5, del Tuir, la “misura delle spese” (posto che l’articolo 109, comma 5, si occupa del diverso problema di sancire l’indeducibilità dei componenti negativi di reddito che si riferiscono a beni o attività da cui derivano ricavi esenti), ci si aspettava che le rettifiche fondate sull’antieconomicità della gestione o di talune spese venissero riportate nei corretti binari. Cioè che quasi sempre si tratta di rettifiche di tipo presuntivo, ai sensi dell’articolo 39, primo comma, lettera d), secondo periodo, del Dpr 600/1973, le quali si basano su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.

In questo caso, è fin troppo evidente che è l’Amministrazione finanziaria che deve dimostrare nel giudizio che gli elementi presuntivi fondanti la rettifica hanno i caratteri di gravità, precisione e concordanza. Solamente dopo che l’ufficio – secondo il giudice – avrà assolto tale onere, quest’ultimo graverà sul contribuente.

È come se la Cassazione dicesse, quindi, tornando al caso dell’ordinanza 1282/2021, che il fatto di dichiarare perdite rappresenta ex se i requisiti di gravità, precisione e concordanza, così che l’onere della prova si ribalta sul contribuente. È chiaro che non può essere così: ci si augura si tratti di un “infortunio” (a scapito, comunque, del singolo contribuente che aveva vinto nei due gradi di giudizio precedenti) e di non trovarci di fronte a un nuovo tipo di presunzione giurisprudenziale che altera (come nel caso della nota vicenda dei soci di società a ristretta base partecipativa) le normali e ordinarie regole sull’onere della prova.

Peraltro, la Cassazione scorda che nell’ordinamento è stata introdotta una specifica presunzione di legge (che questa sì inverte l’onere di prova) per le società che dichiarano perdite reiterate.

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