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Autotutela sostitutiva, la chance per gli uffici limita il diritto alla difesa

Due recenti pronunce di Cassazione legittimano il metodo degli accertamenti sostitutivi per rettifiche peggiorative

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di Marco Cramarossa

Non dovrebbe essere concesso all’amministrazione finanziaria, in assenza di elementi sopravvenuti, il potere di annullare precedenti avvisi di accertamento attraverso una rettifica peggiorativa. Invece, l’autotutela sostitutiva, che comporta a carico del contribuente una maggiore pretesa tributaria contenuta in un nuovo atto, è considerata dalla giurisprudenza un presidio posto a difesa dell’interesse pubblico al reperimento di entrate fiscali legalmente accertate. Questo sembra ormai essere il paradigma che rende superata per gli uffici la necessità di emettere avvisi di accertamento parziali, successivamente integrabili a determinate condizioni, e che, nel contempo, segna il definitivo tramonto del principio tributario dell’unicità dell’accertamento.

L’ammissibilità di una pluralità di accertamenti peggiorativi per il contribuente, emessi in via di autotutela dall’amministrazione finanziaria, ha trovato riconoscimento nei recenti arresti della Corte di cassazione (sentenza n. 31467 del 31 marzo 2019 e ordinanza n. 10981 del 9 giugno 2020), incontrando come unici limiti la pendenza dei termini decadenziali del potere di accertamento e il giudicato eventualmente formatosi. Un ulteriore limite viene poi comunemente individuato nel diritto di difesa del contribuente (Cassazione, sentenza n. 7751 del 20 marzo 2019 ).

L’annullamento d’ufficio di un avviso di accertamento trae legittimazione normativa nell’articolo 2-quater, comma 1, del Dl 564/1994, che rappresenta la declinazione tributaria degli articoli 21-nonies e 21-quinquies della legge 241/1991, nonché nel conseguente Dm 37/1997. Il potere di esercizio dell’autotutela dovrebbe riguardare solo la correzione di atti rivelatisi illegittimi o infondati, vale a dire privi di fondamento giuridico o, addirittura, contrari a norme di legge. Si tratta di una disposizione che, avendo come effetto quello di emettere un nuovo atto emendato dai vizi che inficiavano il precedente, mira al ripristino dell’effettiva fattispecie imponibile attribuibile al soggetto passivo.

Altra cosa è, invece, l’annullamento di un atto emesso senza che gli Uffici abbiano tenuto conto di elementi di prova o documentali già in loro possesso nella fase di formazione dello stesso. Elementi che, ove considerati, avrebbero determinato da subito la corretta (per il Fisco, ovviamente) pretesa erariale a carico del contribuente.

Seguendo questa impostazione, però, si consente all’agenzia delle Entrate di poter modificare, in un secondo momento, atti confezionati utilizzando in maniera imprecisa i propri poteri istruttori ed esponendo, di conseguenza, i contribuenti alla continua revisione peggiorativa della pretesa tributaria, dovendo esclusivamente rispettare i limiti, come già accennato, legati allo spirare del termine per esercitare il potere impositivo o all’assenza di giudicato di merito.

Almeno sino alla recente giurisprudenza, si era ritenuto che non fosse possibile l’esercizio della potestà di autotutela sostitutiva in presenza di errori d’interpretazione dell’amministrazione finanziaria; questo in ragione del principio della tutela del legittimo affidamento. Un principio, quest’ultimo, che risulta essere immanente nell’ordinamento tributario domestico, specificamente tutelato dall’articolo 10, comma 1, della legge 212/2000, nonché presidiato dalla giurisprudenza eurounitaria (Cassazione, sentenza n. 8514 del 27 marzo 2019 ).

È stato, però, osservato che il potere degli uffici di rivedere in senso peggiorativo un precedente atto trova giustificazione nella inderogabilità delle norme tributarie, nella vincolatività della funzione impositiva e nella indisponibilità dell’obbligazione da parte del Fisco. Pertanto, l’eventuale violazione del principio di buona fede nello svolgimento dell’attività amministrativa non impedisce all’amministrazione di correggere un precedente provvedimento emesso dopo aver valutato erroneamente nella fase istruttoria la disciplina applicabile.

Pertanto, la dilatazione del potere di annullamento e di sostituzione degli atti nei termini pacificamente ormai assunti dalla Cassazione finisce, da un lato, per snaturare l’autotutela tributaria e, dall’altro, pone il contribuente di fronte alla necessità di dover instaurare, nel caso sussistessero ancora motivi di impugnazione, un ulteriore giudizio rispetto a un atto che potrebbe essere radicalmente diverso rispetto a quello emendato, paradossalmente anche in relazione al metodo accertativo utilizzato.

Una discrezionalità, quella concessa all’amministrazione finanziaria, troppo ampia e che si ritiene si ponga davvero in conflitto con principi costituzionalmente tutelati, tra i quali, oltre alla parità processuale delle parti, il diritto alla difesa, che peraltro sembrerebbe rappresentare ancora un limite all’autotutela sostituiva, così come riconosciuto dalla stessa Cassazione. Aspetti che sarà sempre bene rimarcare nell’instaurazione di un contenzioso avente a oggetto un avviso di accertamento sostitutivo di un precedente atto annullato dall’ufficio in via di autotutela nei termini qui descritti.

Questo articolo fa parte del nuovo Modulo24 Accertamento e riscossione del Gruppo 24 Ore. Leggi gli altri articoli degli autori del Comitato scientifico e scopri i dettagli di Modulo24