Azioni proprie, l’acquisto non è recesso
Il negozio giuridico con cui il socio persona fisica cede alla società partecipata le azioni nella stessa detenute comporta per il socio la realizzazione di un reddito diverso (capital gain) tassabile ai sensi dell’articolo 67 del Tuir. È infondata la tesi dell’agenzia delle Entrate secondo cui tale operazione sarebbe assimilabile ai fini fiscali al recesso del socio, con applicazione del regime di tassazione dei redditi di capitale (dividendi). È quanto affermato, in relazione a due contestazioni tra loro similari, dalla Ctr del Piemonte con la sentenza 1463/7/2017 (presidente Galasso e relatore Cascini) e dalla Ctp di Vicenza con la sentenza 696/3/2017 (presidente Giarrusso e relatore De Biase Frezza).
In entrambi i casi (riferiti agli anni 2009-2011) una Spa acquista azioni proprie da un socio di minoranza (persona fisica non operante in regime di impresa) e quest’ultimo assoggetta a tassazione la differenza tra il corrispettivo percepito e costo fiscale della partecipazione quale reddito diverso di natura finanziaria, pertanto applicando l’imposizione sostitutiva con le aliquote pro tempore vigenti.
L’agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento nei confronti della società, contestando che, al di là dell’“etichetta” di compravendita attribuita all’operazione, il socio, cedendo alla società le azioni in essa detenute, sarebbe in realtà receduto dalla compagine sociale. Pertanto, ai fini fiscali l’operazione andrebbe inquadrata nell’articolo 47 commi 1 e 7 del Tuir, secondo cui le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle partecipazioni annullate. La società avrebbe dovuto quindi prelevare e versare la ritenuta prevista dall’articolo 27, comma 1-bis, del Dpr 600/1973.
Contro le pretese fiscali viene presentato ricorso e le sentenze citate accolgono le ragioni delle società. Viene precisato che la compravendita di azioni proprie ed il recesso del socio non possono essere equiparate, dato che rispondono a diverse finalità e sono assoggettate a diverse discipline.
Anzitutto, la compravendita è un negozio, mentre il recesso è una facoltà che il socio può esercitare unilateralmente ove ricorrano le ipotesi previste dall’articolo 2437 del Codice civile o le altre ipotesi previste dall’atto costitutivo. Inoltre, la disciplina fiscale prevista dall’articolo 47 comma 7 del Tuir si riferisce alle ipotesi di recesso che comportano una riduzione di capitale, mentre nelle fattispecie in esame era pacifico che le società, a seguito dell’acquisto delle azioni proprie, non avevano deliberato la riduzione del capitale sociale ovvero l’annullamento delle azioni.
Da ultimo, la tesi dell’ufficio non trova conforto nemmeno nel comportamento contabile adottato in specie dalle società, le quali, a fronte dell’iscrizione delle azioni proprie nell’attivo dello stato patrimoniale, hanno costituito per un importo corrispondente una «riserva azioni proprie» indisponibile mediante l’utilizzo in contropartita di altre riserve disponibili (essendo possibile acquistare azioni proprie solo nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili ex articolo 2357 del Codice civile). Infatti, l’iscrizione della riserva indisponibile non è finalizzata alla distribuzione di utili al socio cedente ma, in linea con la normativa contabile (articolo 2357-ter del Codice civile, nella versione pro tempore vigente), è finalizzata a dare conoscenza ai terzi del carattere vincolato della riserva fino al momento in cui le azioni proprie non siano trasferite o annullate.
Resta da stabilire se a conclusioni diverse si sarebbe giunti nell’attuale contesto normativo: la riforma dei principi contabili nazionali introdotta dal Dlgs 139/2015 ed in vigore dal 2016 prevede infatti una diversa modalità di contabilizzazione delle azioni proprie (iscrizione di una riserva negativa di patrimonio netto), in linea con quella già utilizzata dai principi contabili internazionali, che inquadra tale operazione come una ipotesi di riduzione del patrimonio netto. Va però osservato, come già rilevato da Assonime nella circolare 14/2017, che questa rappresentazione “sostanziale” rileva sì anche ai fini fiscali, in virtù del principio di derivazione rafforzata, ma solo in capo alla società emittente, mentre nulla si dice degli effetti in capo al socio.
Ctr Piemonte, sentenza 1463/7/2017