Certificati fiscali dei partner Ue con piena valenza probatoria
Il beneficiario effettivo degli interessi ex articolo 26-quater del Dpr 600/1973 è colui che ha il potere di disporre dei redditi percepiti, senza essere vincolato da obbligazioni legali o contrattuali di riversarli immediatamente a un altro soggetto. L’amministrazione finanziaria, inoltre, non può disconoscere i certificati rilasciati da autorità fiscali di altri Stati Ue. Sono questi i principi enunciati dalla Ctp di Milano nella sentenza n. 409/2017 , depositata lo scorso 12 giugno.
In breve, i fatti di causa come ricostruiti dalla sentenza. Una banca stipulava un contratto di finanziamento con una società olandese la quale prestava, a sua volta, i fondi alla propria controllante olandese. Quest’ultima utilizzava una porzione delle somme ricevute per finanziare una controllata italiana. A fronte della rinuncia della controllante olandese alla restituzione degli interessi dovuti dalla società italiana, l’Ufficio riteneva avverati i presupposti dell’incasso giuridico dei proventi, e contestava l’inapplicabilità dell’esenzione da ritenuta prevista dalla Direttiva Interessi & Royalties, in quanto la rinunciante non avrebbe rivestito lo status di beneficiario effettivo. Ciò sulla scorta dei complessi rapporti di finanziamento esistenti all’interno del gruppo di cui si è detto sopra.
La tesi dell’Ufficio viene disattesa dalla Ctp, che richiama espressamente il Commentario Ocse, nella sua versione del luglio 2014, per ricostruire la nozione di beneficiario effettivo. La sentenza ritiene che lo status di beneficiario effettivo debba essere escluso «in capo a soggetti privi di reali poteri, tali da renderli meri intermediari... di altri soggetti», sicché i proventi incassati «devono essere riversati immediatamente in capo agli effettivi beneficiari».
Nel caso di specie, secondo la Corte, è proprio la circostanza che la società olandese abbia rinunciato al credito nei confronti della controllata italiana che rende evidente l’assenza di un obbligo di retrocessione degli interessi, essendo inverosimile che un «mero intermediario privo di reali poteri» sui proventi rinunci a somme che avrebbe dovuto percepire e a sua volta corrispondere all’effettivo beneficiario. Sotto questo profilo, la sentenza valorizza altresì la struttura operativa della società olandese e le ragioni economiche sottostanti all’organizzazione dei rapporti negoziali, giacché la banca aveva interesse a godere della garanzia patrimoniale immediata della società olandese con cui aveva stipulato il finanziamento.
L’adozione dei parametri Ocse (nella loro versione più recente) nel ricostruire la nozione di beneficiario effettivo di cui alla direttiva Interessi & Royalties è significativa, in quanto la questione circa l’utilizzabilità di tali criteri è stata recentemente deferita alla Corte di giustizia Ue (causa C-682/16).
L’altro aspetto qualificante della sentenza concerne la valenza probatoria dei certificati rilasciati dalle autorità fiscali estere. Infatti, la società aveva prodotto dei certificati che attestavano la residenza fiscale olandese, e l’assoggettamento a tassazione, di entrambe le consociate estere: secondo la Ctp di Milano, il disconoscimento di tali certificati è illegittimo. Viene così ripreso l’orientamento della Corte Ue, e mutuato dalla prassi amministrativa (comunicazione n. 2010/157346 dell’agenzia delle Entrate), nonché dalla giurisprudenza di merito (Ctp Milano n. 9819/2015, Ctr Campania n. 10249/2015), secondo cui i certificati di fonte estera sono dotati, di per sé, di valenza probatoria, essendo onere degli Uffici attivare i procedimenti di scambio internazionale di informazioni, ove si nutrano dubbi su quanto attestato. Tale tesi parrebbe supportata, seppur implicitamente, dalla Corte di cassazione nelle sentenze n. 1552 e 1553 del 2012.