Diritto

Cessione quote, vale il patto di opzione put che elimina il rischio perdite

Per la Cassazione l’opzione è un rapporto interno tra i soci, extra contratto, privo di conseguenze sulla società

Adobestock

di Angelo Busani

È lecito il contratto di opzione put che, dispiegando effetti solo tra i soci (e non verso la società da essi partecipata), determini la sottrazione del socio opzionario rispetto alle perdite che la società partecipata possa conseguire qualora, come nel caso del patto d’opzione che incentiva la patrimonializzazione dell’impresa sociale, si tratti di un accordo che perciò abbia caratteristiche meritevoli di tutela.

Con questa decisione (ordinanza n. 27227 del 7 ottobre 2021), la Cassazione ribadisce il suo orientamento più recente, secondo il quale l’opzione put consiste in un mero rapporto interno tra i soci estraneo al contratto sociale, privo di conseguenze sulla società da essi partecipata.

L’esperienza pratica insegna infatti che il ricorso all’opzione put è frequentissimo in operazioni alle quali partecipa un soggetto che, apportando le proprie risorse finanziarie, accetta anche di prender parte al capitale sociale nell’ottica però di uscirne (cedendo la sua quota di partecipazione o a terzi o al socio che ha concesso l’opzione put) una volta decorso il periodo in origine previsto per la massimizzazione del suo investimento. Si tratta quindi dell’acquisizione di una quota di partecipazione al capitale sociale per un tempo limitato, finalizzata non a conseguire i risultati di lungo periodo che la società si prospetta, ma a ritrarre un vantaggio, in un orizzonte temporale di breve-medio termine, rispetto alla concessione dell’apporto finanziario.

Il vecchio orientamento

Fino al cambio di rotta avvenuto nel 2018, la giurisprudenza aveva ritenuto l’opzione put illegittima. Un orientamento basato sulla sentenza della Cassazione 8927/1994 che faceva derivare l’illiceità dell’opzione dal divieto di patto leonino, di cui all’articolo 2265 del Codice civile, per il quale sono nulle le convenzioni che comportano l’esclusione “totale e costante” di un socio dalla partecipazione agli utili e/o alle perdite della società dal medesimo partecipata.

In sostanza, allora la Cassazione aveva ritenuto che se un socio (opzionario) stipula con altro socio (concedente) un opzione put, e cioè un contratto in base al quale l’opzionario ha il diritto di vendere al concedente la quota di partecipazione al capitale di una società che sia di titolarità dell’opzionario stesso (per un prezzo – non correlato al valore della quota di partecipazione oggetto di put all’atto di esercizio dell’opzione, perchè – pari all’esborso effettuato dal socio opzionario per acquisire e mantenere la sua quota di partecipazione), ciò fosse da intendere come un patto nullo in quanto sostanzialmente escluderebbe il socio titolare dell’opzione dalla partecipazione alle eventuali perdite che la società consegua.

Il cambio di rotta

Con la sentenza n. 17498/2018 (si veda Il Sole 24 Ore del 5 luglio 2018) il giudice della legittimità ha ritenuto, invece, legittimo l’accordo concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo effettuato dall’altro socio, si obbliga a manlevare quest’ultimo dalle eventuali conseguenze negative che il conferimento in società possa subire a causa del cattivo andamento degli affari sociali.

La Cassazione (con un’impostazione confermata nella decisione 27227/2021) ha quindi focalizzato l’attenzione sul punto che l’opzione put resta in effetti estranea al contratto sociale, poiché essa consiste in un mero rapporto interno tra i soci che hanno stipulato il contratto di opzione, il quale è, dunque, privo di alcun riverbero verso la società da essi partecipata.

La Cassazione, così decidendo, ha reso evidente che, da un lato, il suo precedente atteggiamento di rigida chiusura più non si giustificava in punto di diritto, in quanto la norma di cui all’articolo 2265 più non si presta, oggigiorno, ad essere letta così come l’ha scritta il legislatore del 1942, ma necessita di una interpretazione al passo con la prassi commerciale che si è nel frattempo sviluppata, specie quella che si è formata nelle operazioni di private equity; e, d’altro lato, si palesava contrario agli interessi degli operatori d’affari e, quindi, alla logica e all’efficienza del sistema economico nel suo complesso.

Il quadro

1. Cos’è
Si tratta di un contratto con il quale una parte (detta concedente) si obbliga verso la controparte (opzionario) ad acquistare, per un prezzo predeterminato, la quota di partecipazione al capitale sociale di proprietà dell'opzionario qualora questi esprima la volontà di vendere detta quota di partecipazione. L’incasso del prezzo consente all’opzionario di non correre rischi nel suo investimento.

2. L’opzione fra soci
Il contratto di opzione put fra soci che elimina il rischio perdite per il socio opzionario è legittimo se, come per il patto che incentiva la patrimonializzazione dell’impresa sociale si tratti di un accordo meritevole di tutela. Così decide la Cassazione, anche in quanto si tratta di un accordo che dispiega effetti solo tra i soci e non verso la società partecipata.

3.L’utilizzo
Il ricorso all’opzione put è frequentissimo in operazioni alle quali partecipa un soggetto che, apportando le proprie risorse finanziarie, accetta anche di prender parte al capitale sociale nell’ottica però di uscirne (cedendo la sua quota di partecipazione o a terzi o al socio che ha concesso l’opzione put) una volta decorso il periodo in origine previsto per massimizzare l’investimento.

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