Cessioni fittizie di orologi extra Ue: paga l’Iva il venditore che non vigila
Disconosciuta la non imponibilità Iva delle cessioni di beni extra Ue effettuate da un venditore italiano in assenza (conclamata) dei presupposti necessari per l’applicazione del regime agevolato. A dirlo è la Ct di secondo grado di Trento con la sentenza 9/1/2019 ( presidente Pascucci, relatore Chiettini).
L’articolo 38-quater del Dpr 633/1972 prevede un trattamento particolare dell’Iva, in caso di cessione di beni a uso personale o familiare a soggetti extracomunitari «residenti o domiciliati fuori dell’Unione europea», che può essere scomputata subito al momento di vendita oppure rimborsata in seguito al compratore.
La norma richiede, tuttavia, che per ottenere questo trattamento agevolato, sussistano tre condizioni:
● deve trattarsi di beni destinati all’uso personale o familiare;
● il valore dei beni deve essere superiore al minimo previsto dalla norma (ora 154,93 euro);
● la merce deve essere trasportata al « seguito» nel «proprio bagaglio» al di fuori dell’Unione europea.
La procedura prevista dal primo comma dell’articolo 38-quater, per cui il cedente italiano emette all’atto di vendita fattura scorporata dell’Iva, è la più rischiosa: il venditore far fede sull’effettiva restituzione nei termini di legge della fattura vistata dall’ufficio doganale, pena il pagamento dell’Iva a carico del venditore.
Con riferimento a questa procedura, la Commissione tributaria di Trento ha affrontato la problematica connessa alla posizione del soggetto cedente ai fini della confutazione della tesi dell’ufficio, che aveva accertato la violazione della normativa sulla base di plurimi elementi presuntivi dai quali - secondo il Fisco - si poteva evincere il mancato utilizzo della merce acquistata per uso personale o familiare.
In particolare, l’amministrazione aveva rilevato che un numero ristretto di acquirenti, per lo più cinesi, aveva acquistato circa trenta orologi di marca in un anno, a distanza di pochi giorni, facendo presumere che il viaggiatore non fosse mai uscito effettivamente dal territorio italiano con la merce acquistata. In alcuni casi, risultava poi che gli orologi acquisiti, per lo più con pagamento in contanti, dunque non tracciabile, erano usciti dalla Dogana in misura inferiore a quella acquistata.
Il cedente italiano, una rinomata società di rivendita di orologi di lusso nella Provincia di Trento, aveva opposto che la ripresa fiscale non era legittima, avendo rispettato formalmente la procedura sul trattamento agevolato dell’Iva e non potendo avvedersi della falsificazione dei visti doganali sulle fatture restituite, dato che l’accertamento è successivo al controllo fiscale.
Il collegio nella sentenza si sofferma sulla necessaria posizione di «buona fede» del cedente. Quest’ultimo, secondo i giudici di secondo grado, per non incorrere nella violazione dell’articolo 38 quater avrebbe dovuto usare - nello svolgimento dell’operazione commerciale - la «diligenza qualificata» propria dell’imprenditore, a nulla rilevando la regolarità formale della procedura di acquisto.
Nello specifico, la segnalazione - proveniente dalla casa madre della società produttrice del bene oggetto della vendita (gli orologi, appunto) - relativa a fraudolente richieste di esenzione dell’Iva dal prezzo di acquisto della merce da parte di acquirenti extra Ue di diverse quantità di beni, unite alla circostanza dell’acquisto di singoli orologi a distanza di poco tempo e sempre da parte di un numero ristretto di compratori, avrebbe dovuto indurre il venditore italiano a dubitare della regolarità in concreto dell’operazione. Nel caso specifico, pertanto, il cedente non avrebbe dovuto operare lo scorporo dell’Iva al momento dell’acquisto. Di qui la legittimità dell’accertamento.