Controlli e liti

Compensazioni, perché è illegittimo contestare il credito inesistente anche a chi non ha i requisiti

Le sentenze e circolari che smentiscono la prassi instaurata dalle Entrate, che porta a sanzioni fino al 200%

di Dario Deotto

Il distinguo tra l’utilizzo in compensazione di un credito d’imposta non spettante e un credito d’imposta inesistente viene spesso impiegato capziosamente in sede di irrogazione delle sanzioni da parte dell’amministrazione finanziaria (si veda anche l’articolo di Riccardo Giorgetti e Alessandro Mastromatteo del 24 febbraio scorso).

Le conseguenze non sono di poco conto. Il comma 4 dell’articolo 13 del Dlgs 471/1997 prevede l’irrogazione della sanzione del 30 per cento (dell’utilizzo del credito) «nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti». Il comma 5 dello stesso articolo di legge dispone invece la sanzione dal 100 al 200 per cento nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti.

Va rilevato che la sanzione più grave prevista per l’utilizzo in compensazione dei crediti inesistenti è stata introdotta dall’articolo 27, commi 16 e seguenti, del Dl 185/2008 per contrastare – lo riporta la relazione illustrativa - «comportamenti connotati da aspetti fraudolenti» mediante i quali l’«artificiosa rappresentazione contabile dei crediti in sede di autoliquidazione del debito» risulti funzionale ad ostacolare o, comunque, a «rendere infruttuosa l’azione di controllo ai danni dell’Erario».

Si tratta di circostanze nelle quali il contribuente ha sostanzialmente indicato fittiziamente dei crediti d’imposta, di fatto “inventati” in dichiarazione, o riportato consapevolmente nei modelli di versamento crediti d’imposta pur non avendone titolo.

Sullo stesso solco si è espresso anche l’ufficio del Massimario della Cassazione (Relazione III/05/2015), che – premettendo che non sempre risulta agevole la distinzione tra crediti «inesistenti» e crediti «non spettanti» – ha reputato «inesistenti»:

- i crediti che sono tali sin dall’origine, perché il credito utilizzato non esiste materialmente;

- i crediti che, seppure in origine esistenti, sono già stati utilizzati;

- i crediti inesistenti dal punto di vista soggettivo, vale a dire i crediti dei quali è riconosciuta la spettanza ad un soggetto diverso da quello che li utilizza in compensazione;

- i crediti sottoposti a condizione sospensiva.

Anche Assonime – nelle circolari n. 9 del 12 giugno 2009, n. 20 del 12 giugno 2014, n. 23 del 14 novembre 2019 – risulta del parere che l’introduzione della sanzione più grave nelle ipotesi di utilizzo di crediti inesistenti deriva dalla volontà del legislatore di colpire non già tutte le fattispecie di compensazione di crediti in modo errato, bensì soltanto quelle in cui l’inesistenza del credito utilizzato in compensazione tragga origine da condotte che si distinguono per il carattere artificioso e fraudolento e siano idonee a pregiudicare gravemente gli interessi del Fisco, non solo in termini di versamento delle imposte, ma anche come serio ostacolo alle attività di controllo degli Uffici competenti.

Occorre inoltre considerare che il comma 5 dell’articolo 13 stabilisce, quale «presupposto costitutivo» dell’inesistenza di un credito, che tale inesistenza «non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633».

Nella relazione illustrativa del Dlgs 158/2015 si legge che «il riferimento operato al riscontro dell’esistenza del credito da utilizzare in compensazione mediante procedure automatizzate rappresenta condizione ulteriore a quella dell’esistenza sostanziale del credito, ed è volta ad evitare che si applichino le sanzioni più gravi quando il credito, pur sostanzialmente inesistente, può essere facilmente intercettato mediante controlli automatizzati, nel presupposto che la condotta del contribuente si connota per scarsa insidiosità».

Ebbene, si rileva che ai sensi dell’articolo 36-ter del Dpr 600/1973 (controllo formale delle dichiarazioni) è attributo potere agli uffici (lettera d) del comma 2) di «determinare i crediti d’imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti».

In sostanza, la sussistenza o meno di un credito d’imposta risulta tra le fattispecie che possono essere verificate dalle Entrate mediante il controllo formale delle dichiarazioni di cui all’articolo 36-ter. Con la evidente conclusione che tutte le volte che il credito d’imposta è stato indicato nel quadro RU delle dichiarazioni dei redditi, l’eventuale “non spettanza” del credito (con la sanzione del 30 per cento) risulta intercettabile mediante gli stessi controlli automatizzati previsti dall’articolo 36-ter del Dpr 600/1973 e che, quindi, la condotta del contribuente non si caratterizza da quell’insidiosità che contraddistingue i fenomeni fraudolenti.

L’utilizzo in compensazione di un credito d’imposta inesistente (con la sanzione dal 100 al 200 per cento) si può, invece, in ogni caso configurare quando, ad esempio con riferimento al credito per ricerca e sviluppo, l’impresa abbia svolto un’attività che nemmeno astrattamente può essere qualificata quale attività di ricerca e sviluppo oppure qualora l’impresa abbia effettuato meri investimenti in beni materiali e immateriali, senza tuttavia svolgere effettiva attività di ricerca.

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