Conferimenti dei soci, elusione sotto tiro
Con riguardo ai
La relazione al Dm, dopo aver ribadito la possibilità di disapplicazione della norma mediante
L’onere probatorio aggiuntivo sembra riguardare anche la società quotata estera residente in un Paese non white list, per la quale la prova si intende interamente assolta soltanto se il socio di controllo (ove esistente) sia residente in un Paese white list. In assenza di un socio di controllo, dovrebbe comunque rimanere ferma la possibilità di effettuare la verifica secondo il cosiddetto «look through approach» (fino in cima alla catena societaria) dello Stato di residenza di tutti i soci della società quotata aventi una quota partecipativa sopra la soglia prevista dall’autorità di vigilanza dello Stato estero.
Inoltre, pare evincersi dal neointrodotto comma 5 dell’articolo 10 che la sterilizzazione del conferimento proveniente dal socio non white list non sarebbe integrale, ma solamente proporzionale ai flussi di denaro da esso movimentati mediante le operazioni di cui all’articolo 10 con le società del gruppo (da intendersi, anche estere white list) della conferitaria italiana (confronta sul punto, la risposta all’interpello interpretativo commentata sul Sole 24 Ore del 16 novembre 2016).
Anche sulla ricomprensione o meno del socio nella white list la relazione al Dm adotta un approccio restrittivo, di fatto “congelando” il quadro alla white list vigente al 1° gennaio 2011 (ad eccezione, deve ritenersi, dei soci conferenti costituiti dopo la sottoscrizione degli accordi). Ciò nell’assunto che non risulti possibile esaminare i flussi in entrata verso il socio estero avvenuti nei periodi precedenti alla sottoscrizione degli accordi sullo scambio di informazioni anche se il conferimento che genera base Ace sia stato posto in essere successivamente (financo a Newco italiane che non possono quindi aver creato base Ace in precedenza).
Rientrano quindi nell’articolo 10, comma 4, del Dm i conferimenti provenienti da soci (ivi compresi i fondi comuni di investimento, per i quali opera ora l’esimente) residenti o localizzati ad esempio in Qatar, Isole Cayman, Svizzera, Hong Kong, poiché questi Stati sono stati inclusi nella white list successivamente al 1°gennaio 2011.
È auspicabile che la rigidità di questa interpretazione sia mitigata quanto meno per gli investitori istituzionali localizzati nei Paesi divenuti white list dopo il 1° gennaio 2011 e ivi soggetti a forme di vigilanza.
Invero, poiché tutte le disposizioni antielusive di cui all’articolo 10 del Dm sono volte a prevenire fenomeni di duplicazione della base Ace, la necessità - per i soli conferimenti provenienti da un socio non white list - di un ulteriore elemento di prova, consistente nella ricostruzione analitica della catena partecipativa del socio, unitamente alla mancata valorizzazione degli accordi sullo scambio di informazioni stipulati dal 2011 ad oggi, potrebbe rendere la norma sproporzionata all’obiettivo perseguito.
In particolare, laddove il socio risieda in uno Stato che ha stipulato una convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia (ad esempio Svizzera), si ripropone la possibile violazione della clausola di non discriminazione di cui all’articolo 24 della Convenzione-Modello. Del resto, l’articolo 11 della proposta di direttiva n. 2016/337 sulla Cctb, in relazione all’analogo incentivo agli investimenti in capitale proprio (Agi, Allowance for Growth and Investment) pur prevedendo disposizioni antielusive similari a quelle di cui ai primi tre commi del Dm 3 agosto 2017, non pone limiti aggiuntivi per i conferimenti provenienti da Stati non white list.