Controlli e liti

Conti dei soci sotto sequestro per il reato tributario della Snc

La sentenza 6163/2021 della Cassazione: dichiarazione fraudolenta per false fatture della società di persone con effetto sull’Irpef evasa dai soci

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Il sequestro per il reato di dichiarazione fraudolenta della società di persone mediante utilizzo di false fatture può interessare i conti dei soci per l’Irpef evasa nella rispettiva dichiarazione personale. A fornire questo principio è la Cassazione, sezione terza penale, con la sentenza 6163/2021 depositata il 17 febbraio.

Nei confronti dei soci di una Snc era eseguito un sequestro preventivo finalizzato alla confisca (sulla base dell’Irpef evasa da ciascuno) in conseguenza della dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di false fatture ascrivibile alla dichiarazione della società.

Gli interessati ricorrevano al tribunale del riesame, lamentando in estrema sintesi, che la società di persone è soggetto passivo unicamente ai fini Iva e Irap e non ai fini delle imposte dirette gravante unicamente sui singoli soci nelle proprie dichiarazioni.

Il tribunale, rispetto a questa eccezione, rigettava l’impugnazione rilevando che per l’illegittimità del sequestro nella parte relativa all’Irpef evasa, occorreva dimostrare che i costi fittizi (della società) non fossero stati detratti dall’imposta dovuta nelle dichiarazioni dei soci.

Nel ricorso per cassazione, i soci contestavano la decisione del Tribunale del riesame, rilevando ulteriormente che nel momento in cui i costi fittizi fossero stati inseriti nella dichiarazione della società essi condizionano necessariamente anche le dichiarazioni dei singoli soci, in quanto il socio si limita a recepire in maniera meramente percentuale una parte del reddito di impresa calcolato dalla società.

Il fine di evadere le imposte previsto dal contestato articolo 2 del Dlgs 74/2000 deve intendersi in caso di dichiarazione societaria riferito alla società stessa con la conseguenza che nel caso di società di persone, non essendo soggetto passivo Irpef, non si può contestare un delitto posto in essere con la finalità di evadere un tributo non dovuto dal soggetto giuridico cui si riferiscono le dichiarazioni. Da qui l’illegittimità del sequestro

La Suprema corte ha ritenuto infondato il ricorso. I giudici premettono che le società personali sono tenute a presentare le dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi ma il risultato di esercizio deve essere imputato direttamente ai singoli soci in base alla rispettiva quota di partecipazione.

Quindi il fine di evasione caratterizzante il dolo specifico nel caso della dichiarazione fraudolenta debba riferirsi in caso di società di persone anche all’evasione Irpef, in quanto la dichiarazione societaria deve avere ad oggetto anche tale imposta fermo restando che sono i singoli soci gli assoggettati al pagamento. Pertanto la configurabilità del reato attiene anche l’Irpef, con conseguente sequestro delle somme di valore equivalente al profitto corrispondente al risparmio di imposta ottenuto da ciascun socio.

La pronuncia si riferisce ad un caso di misura cautelare per cui l’attenzione dei giudici si è concentrata evidentemente sull’imposta evasa oggetto del sequestro. Nella specie tale risparmio di imposta è stato individuato nella minore Irpef corrisposta dai soci per effetto delle false fatture dichiarate dalla società.

Tuttavia, occorre rilevare che in base all’articolo 1 del Dlgs 74/2000 (lettera d) il «fine di evadere le imposte» previsto della dichiarazione fraudolenta in discussione non comprende anche i terzi (quali sarebbero i soci rispetto alla società), a differenza della previsione contenuta nel reato di emissione di false fatture che invece prevede espressamente anche il fine di consentire a terzi l’evasione.

Ne consegue che secondo un’interpretazione letterale e rigorosa della normativa contenuta nel Dlgs 74/2000 il fine di evadere le imposte riferito ai soci non può essere connesso alla dichiarazione della società. Al riguardo vi è da sperare in un ripensamento della Suprema corte.

Articolo tratto dal Sole 24 Ore del 18 febbraio


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