Cooperative, niente vincoli mutualistici sui soci finanziatori
Le clausole mutualistiche previste dall’articolo 2514 del Codice civile per le cooperative a mutualità prevalente (Cmp) non operano nei confronti dei soci finanziatori. È quanto emerge da una lettura sistematica della norma, volta a limitare il lucro soggettivo dei soci cooperatori delle Cmp. L’acquisizione di tale qualifica è particolarmente rilevante ai fini tributari: l’accesso alle disposizioni fiscali di carattere agevolativo previste dalle leggi speciali, infatti, è riservato soltanto alle Cmp.
Per conseguire la qualifica di Cmp è necessario il contestuale soddisfacimento di due requisiti:
● il primo consiste nella capacità dell’ente di realizzare nel corso dell’esercizio sociale più scambi con i propri soci che con i terzi;
● il secondo si perfeziona con l’inserimento delle clausole contenute nell’articolo 2514 del Codice civile all’interno dello statuto sociale.
Si tratta di clausole di “non lucratività” che stabiliscono, oltre alla devoluzione del patrimonio ai fondi mutualistici in caso di scioglimento della società, vincoli stringenti alla distribuzione degli utili. In particolare la norma prevede espressamente un limite alla remunerazione degli strumenti finanziari sottoscritti dai soci cooperatori (lettera b) e il divieto di distribuzione delle riserve alla medesima categoria di soci (lettera c).
Per quanto attiene al limite fissato dalla lettera a) alla distribuzione di dividendi, la norma non specifica se esso contempli anche i finanziatori che si qualifichino come soci (in quanto i loro apporti siano imputati al capitale sociale) o debba, invece, applicarsi soltanto nei confronti dei soci cooperatori. Quest’ultima soluzione è senz’altro preferibile in quanto una diversa interpretazione sarebbe incoerente proprio con il disposto delle successive lettere b) e c). Senza considerare che il legislatore, a partire dal 1992, ha inteso favorire il processo di capitalizzazione delle cooperative con una pluralità di interventi finalizzati a rafforzare i diritti patrimoniali del socio finanziatore. Ne sono un esempio sia l’articolo 2545-quinquies del Codice civile che, soprattutto, l’articolo 3 della legge 28/1999 nella parte in cui stabilisce che la distribuzione di utili ai (soli) soci finanziatori non comporta la decadenza dai benefici fiscali anche in caso di mancata ricostituzione delle riserve utilizzate a copertura di perdite pregresse.
Il medesimo principio è stato ribadito anche dall’agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello n. 954-1784/2017, che ha confermato la legittimità della clausola che, nei casi in cui si siano realizzate perdite o l’utile sia insufficiente, consente la portabilità dei dividendi agli esercizi successivi.
Tali conclusioni appaiono ancor più rilevanti riguardo all’operatività, in qualità di soci finanziatori, dei Fondi mutualistici, istituiti dalla legge 59/1992, e della “finanziaria Marcora” Cfi, società partecipata e vigilata dal Mise con il fine di promuovere la nascita e lo sviluppo di cooperative di lavoro.
Se l’utilizzo di clausole che prevedono la portabilità dei dividendi è generalmente consentita anche a tali soggetti, alcuni dubbi relativamente alle “finanziarie Marcora” si sono posti in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 4, comma 7, del decreto ministeriale 4 aprile 2001, nella parte in cui il diritto al dividendo veniva fissato in un valore “puntuale” predeterminato (2 punti percentuali maggiore rispetto a quello degli altri soci).
Premesso che esso coincide con la remunerazione massima prevista per i soci sovventori e con quella per gli azionisti di partecipazione cooperativa, unici “strumenti finanziari” ammissibili nel 2001, va considerato che la successiva riforma del diritto societario ha profondamente innovato la disciplina dei soci finanziatori delle cooperative, superando, in particolare, tutte le limitazioni proprie dei predetti “strumenti”. Innovazioni, peraltro, specificamente recepite dal successivo Dm 16 aprile 2003, nella parte in cui le modalità di assunzione delle partecipazioni vengono identificate in quelle proprie dell’articolo 2526 del Codice civile e che, quindi, dovrebbero circoscrivere l’operatività dei citati limiti soltanto all’emissione degli strumenti precedentemente previsti dalla legge 59/1992.