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Da Amazon a Apple, così la Commissione spinge per armonizzare la fiscalità degli Stati Ue

di Giorgio Emanuele Degani

La Commissione Ue, con il ricorso pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 8 novembre, ha impugnato la sentenza del Tribunale (settima sezione ampliata) del 12 maggio 2021, per le cause riunite T-816/17 e T-318/18, Lussemburgo e Amazon / Commissione (Causa C-457/21).

Nelle cause Lussemburgo e Amazon / Commissione, il Tribunale aveva annullato la decisione della Commissione europea secondo cui le autorità fiscali lussemburghesi avevano conferito un vantaggio selettivo al gruppo Amazon in violazione dell’articolo 107 del Trattato sul funzionamento delle Ue (Tfue). In particolare, il Tribunale aveva ritenuto che la Commissione non fosse in grado di dimostrare che l’onere fiscale della controllata lussemburghese del noto gruppo multinazionale fosse stato ridotto artificialmente a causa di un sovrapprezzo delle royalty, né a seguito di una sottovalutazione della remunerazione che avrebbe ricevuto a condizioni di mercato.

La Commissione Ue ha quindi impugnato la sentenza ritenendo che ci fossero diversi errori in diritto che hanno portato il Tribunale a respingere la tesi della sussistenza di un vantaggio fiscale per la multinazionale.

La Commissione sostiene, tra l’altro, che il Tribunale ha interpretato e applicato erroneamente il principio di libera concorrenza – che costituisce una violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, del Tfue in relazione alla condizione di vantaggio – e ha fornito una motivazione contraddittoria e inadeguata , oltre a violare norme procedurali e snaturare la decisione. Inoltre, il Tribunale avrebbe indebitamente invocato d’ufficio argomenti che eccedono la sua competenza giurisdizionale.

Questo ricorso contro la decisione “Amazon” si aggiunge a un altro, presso la Corte di Giustizia Ue, avente a oggetto il caso “Apple”. In quel caso, la Commissione europea ha dichiarato che la Apple avrebbe avuto un vantaggio selettivo e, dunque, un aiuto di Stato, che avrebbe così distorto la libera concorrenza nel mercato unionale.

Mentre, al contrario, per il Tribunale Ue «la Commissione avrebbe dovuto dimostrare che il reddito rappresentava il valore delle attività realmente portate avanti dalle filiali irlandesi», con ciò escludendo la sussistenza di un vantaggio fiscale in concreto. Anche tale pronuncia è stata impugnata (C-465/20 P).

Ebbene, a prescindere dai casi concreti, giova ricordare che all’interno dell’Ue, in materia di imposte dirette, gli Stati membri rimangono sovrani e sono liberi di esercitare il proprio potere impositivo nel rispetto dei principi unionali. I trend più recenti sono volti a salvaguardare tale sovranità statale: il rischio, però, è quello di introdurre degli ostacoli alle libertà fondamentali della Ue (tra cui la libera circolazione). Pertanto, la lotta all’evasione e all’elusione fiscale (anche tramite il sindacato dei tax rulings da parte delle istituzioni Ue) non può essere legittimamente perseguita a livello eurounitario tutelando i soli e singoli Stati membri: così facendo si rischierebbe di raggiungere una frammentazione e una compartimentazione all’interno della stessa Unione europea con riguardo solo ad alcuni settori.

L’unica via, dunque, è quella di una maggiore armonizzazione nel settore impositivo diretto, al fine di assicurare una equa concorrenza fiscale tra gli Stati membri ed evitare disparità di trattamento tra contribuenti.

Secondo la vicepresidente esecutiva della Commissione, Margrethe Vestager, il tribunale ha ripetutamente confermato il principio in base a cui gli Stati membri, pur avendo la competenza per determinare la propria legislazione in materia di tassazione, devono farlo nel rispetto del diritto dell’Ue, comprese le norme sugli aiuti di Stato. «Se gli Stati membri concedono a determinate società multinazionali vantaggi fiscali non disponibili ai loro concorrenti, ciò danneggia la concorrenza leale nell’Unione europea, in violazione delle norme sugli aiuti di Stato».