Controlli e liti

Dalla Consulta stop alle norme tributarie non omogenee

La sentenza 245/2022 boccia l’aumento di accise inserito in conversione del Milleproroghe di fine 2010

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di Giovanni Parente

Il decreto lgge «omnibus» per eccellenza torna di nuovo nel mirino della Corte costituzionale. Sono, infatti, illegittime le disposizioni tributarie estranee al contenuto del Dl Milleproroghe. È quanto emerge dalla sentenza 245/2022 della Consulta (presidente Sciarra, redattore Antonini).

La pronuncia censura una disciplina che era superata, già sulla scia di una precedente decisione (sentenza 22/2012), e poi successivamente modificata fino alla definitiva abrogazione avvenuta nel 2018.

In sintesi, era stato previsto un meccanismo in base al quale, qualora per il finanziamento delle spese conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza per eventi calamitosi non sia sufficiente il ricorso al fondo nazionale della protezione civile e si renda necessario l’utilizzo del fondo di riserva per spese impreviste, quest’ultimo deve essere immediatamente reintegrato per la parte corrispondente all’utilizzo mediante l’incremento dell’accisa sui carburanti deliberato dall’agenzia delle Dogane. Un meccanismo dapprima previsto in un emendamento in commissione al Senato e poi confluito nel maxiemendamento del Governo al Dl 225/2010 (il decreto Milleproroghe), su cui è stata posta la fiducia a Palazzo Madama il 15 febbraio 2011.

Le motivazioni della Consulta suonano come un monito per il futuro al legislatore. La sentenza 245/2022 nel riferirsi alla modifica normativa censurata parla, infatti, di «meccanismo di carattere ordinamentale che attiene all’operatività, a regime, del servizio della protezione civile, cioè a un oggetto nemmeno latamente considerato, ab origine, dal decreto legge essenzialmente relativo alla proroga di termini, come dimostrato dalle rubriche dei singoli articoli che lo componevano. Le coperture necessarie per gli oneri derivanti dagli interventi in essi originariamente contemplati erano, inoltre, già tutte specificamente previste nell’articolo 3 del decreto legge (senza quindi necessità delle coperture “anche in via integrativa” sostenute dalla difesa erariale)».

Ad avviso della Corte costituzionale, «né il punto di correlazione può essere ricavato agganciando il generico riferimento alla “materia tributaria” contenuto nell’epigrafe e nel preambolo del decreto legge al profilo fiscale della disciplina introdotta, in quanto questo è meramente e strettamente ancillare alla disciplina sostanziale cui si riferisce, del tutto estranea» al contenuto e alle finalità del decreto legge originario. Si arriverebbe, infatti, a un vero e proprio paradosso: la semplice evocazione della materia tributaria nell’epigrafe e/o nel preambolo «potrebbe, proprio in un ambito anche storicamente caratterizzato dal rilievo dei parlamenti (evocato dal principio “no taxation without representation”), diventare - sempre nella motivazione della sentenza 245/2022 - lo strumento per vanificare i limiti costituzionali all’emendabilità del decreto legge in sede di conversione; ciò a detrimento delle ordinarie dinamiche del confronto parlamentare, così prefigurando un procedimento legislativo alternativo a quello ordinario, anche mediante il ricorso al maxiemendamento e alla questione di fiducia».

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