Imposte

Dalle nuove regole Ue possibile estensione dell’export congiunto

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di Matteo Balzanelli, Massimo Sirri e Riccardo Zavatta

La Ue apre la strada per estendere la procedura dell’esportazione congiunta (già conosciuta in ambito interno) con conseguente applicazione del regime di non imponibilità della cessione, anche al caso della vendita di beni a un operatore extraUe che ne commissiona la lavorazione in un Paese comunitario diverso da quello del cedente.

È il caso di un fornitore residente che vende beni a un soggetto russo, inviandoli in Francia su indicazione del cliente affinché sia eseguita una lavorazione al termine della quale i beni sono esportati in Russia. La questione è stata esaminata dal comitato Iva nel Working Paper 894/2016, senza giungere a una conclusione definitiva, ma mettendo a fuoco alcuni aspetti che potrebbero anche essere condivisi dall’amministrazione finanziaria. Innanzitutto, è stato evidenziato come non vi siano problematiche in relazione al trattamento della prestazione di lavorazione. Questa resta un’operazione fuori del campo applicativo Iva (ex articolo 7-ter, Dpr 633/72, guardando alla disciplina interna). Parimenti, non è di ostacolo, a livello di principio, il fatto che un’esportazione sia eseguita a partire da un Paese membro diverso da quello del fornitore, sempre che sia fornita la prova dell’uscita dei beni lavorati dal territorio comunitario (si veda anche la circolare 37/E/2011 sulla territorialità dei servizi). Al riguardo, è richiamato l’articolo 146, paragrafo 1, lettere a) e b), direttiva 2006/112, le cui previsioni trovano corrispondenza nei concetti di cessione all’esportazione diretta e indiretta di cui all’articolo 8, comma 1, lettera a) e lettera b), Dpr 633/72, a seconda che l’esportazione sia eseguita dal cedente o dal cessionario non residente.

Conseguentemente, sempre in linea generale, non dovrebbero esservi preclusioni a riconoscere l’«esenzione» (nella terminologia comunitaria) anche a tale tipologia di operazioni; il che, tradotto con riferimento alla disciplina nazionale, potrebbe voler dire che (perlomeno quando l’esportazione è eseguita dal terzista Ue) non pare legittimo alcun recupero dell’Iva nazionale. Il documento riconosce tuttavia l’esistenza di rischi di frode ed evasione e suggerisce, pertanto, di non estendere l’esenzione in presenza di lavorazioni complesse che rendano difficoltosa la correlazione fra i beni ante e post lavorazione (è richiamata la sentenza C-446/13, relativa alla diversa questione dell’individuazione del luogo della cessione, sulla vendita di beni sottoposti a lavorazioni di tipo “semplice”).

D’interesse, poi, è il fatto che il comitato richiami le misure di semplificazione a suo tempo prospettate (Working Party n. 1 del 25/26 maggio 1993) in relazione ad alcune operazioni triangolari con lavorazione. La conseguenza dovrebbe essere che, in assenza di diversa indicazione, le soluzioni proposte nella circolare 145/E/1998 per tali fattispecie mantengano la propria validità, una volta emendate in relazione alle mutate regole di territorialità dei servizi e all’evoluzione degli obblighi dichiarativi (Intrastat). E ciò, anche se, nel frattempo, sono cambiate le regole interne relative al trasferimento di beni a scopo di lavorazione fra Stati Ue (si veda l’articolo qui sotto).

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