Definizione agevolata, atto non sempre da impugnare
Da valutare la convenienza e i rischi tra adesione e acquiescenza agevolata
Dilemma operativo per gli atti di accertamento con termini per il ricorso che scadono in questi giorni.
Il contribuente che intende avvalersi della definizione agevolata degli atti, prevista nell’articolo 1, commi 179 e seguenti, della legge 197/2022, nelle more dell’adozione dei provvedimenti delle Entrate attuativi della sanatoria, è posto infatti di fronte all’alternativa tra impugnare l’atto o lasciare che lo stesso si renda definitivo. In entrambi i casi, la scelta non è priva di rischi.
La legge di Bilancio 2023 consente la definizione agevolata degli atti di accertamento, tanto con l’adesione che con l’acquiescenza agevolata. Il vantaggio, nel primo caso, è rappresentato dalla riduzione della sanzione a 1/18 del minimo, mentre nel secondo caso la riduzione è a 1/18 dell’importo irrogato.
Il versamento si effettua in 20 rate trimestrali, a partire dal 31 marzo prossimo. Per beneficiare dell’agevolazione, con riferimento agli atti già notificati, occorre che gli stessi siano non impugnati e ancora impugnabili al primo gennaio scorso. La definizione si perfeziona pagando la prima o unica rata entro 20 giorni dalla sottoscrizione, per gli accertamenti con adesione, oppure entro il termine per la proposizione del ricorso, per l’acquiescenza. È infine prevista l’adozione di misure attuative da parte dell’agenzia delle Entrate.
Alla luce di tale quadro normativo, dunque, ci si chiede cosa fare in presenza di accertamenti che potrebbero diventare definitivi nei primi giorni di gennaio.
Premesso che, al momento, l’acquiescenza agevolata non è ancora utilizzabile, se si lascia decorrere il termine per la proposizione del ricorso viene a scadere anche il termine per fruire della sanatoria, salvo più che probabili ripescaggi dai provvedimenti direttoriali delle Entrate (considerazioni analoghe valgono per le adesioni in scadenza in questi giorni). D’altro canto, però, nelle more del completamento delle regole di riferimento di questa definizione agevolata, il contribuente non ha certezza dell’ammissibilità alla stessa.
L’alternativa dovrebbe essere rappresentata dalla proposizione del ricorso, seppure in via cautelativa, al fine di evitare la definitività dell’atto e di valutare il da farsi non appena il quadro normativo sarà delineato. In questo caso, il rischio è rappresentato da quanto è accaduto in occasione della precedente acquiescenza agevolata agli atti di accertamento, recata nell’articolo 2, Dl 119/2018. Anche in quella occasione, la condizione era rappresentata dal fatto che l’atto non fosse impugnato o impugnabile alla data di entrata in vigore della norma (24 ottobre 2018).
Nonostante tale inequivoco dettato normativo, il provvedimento attuativo delle Entrate precisò che l’acquiescenza era impedita anche dai ricorsi proposti dopo la suddetta data, suscitando le critiche unanimi degli operatori. Non si può pertanto escludere l’eventualità che, laddove si proponga ricorso, le Entrate affermino, ex post, che tale condotta sia incompatibile con la definizione agevolata.
In realtà, si è dell’opinione che, anche nella formulazione della legge di bilancio 2023, i ricorsi proposti dopo il 1° gennaio 2023 siano irrilevanti ai fini dell’adesione alla definizione. Per di più, la versione attuale differisce sensibilmente dal precedente del 2018, poiché vi sono ricompresi, tra l’altro, gli accertamenti notificati entro il 31 marzo 2023. Se ne deduce che, poiché la norma contempla, per un verso, gli accertamenti non impugnati e impugnabili al primo gennaio scorso, e nel contempo, separatamente, quelli notificati fino alla fine di marzo, senza accomunare in un’unica previsione tutti gli atti notificati entro quest’ultima data, si sia voluto in questo modo prescindere dalle impugnazioni proposte avverso gli atti ricevuti nell’ultima parte del 2022.
Si è pertanto dell’opinione che i ricorsi presentati dopo il primo gennaio scorso non impediscano l’acquiescenza agevolata agli atti di accertamento.