Controlli e liti

Dichiarazioni omesse, credito Iva a rischio di indebita compensazione

Le somme possono essere legittimamente usate entro i termini di legge. In certi casi questo utilizzo deve tener conto delle contestazioni penali

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Il credito Iva sorto nell’anno in cui la dichiarazione è stata omessa può essere usato in compensazione, se riportato nella dichiarazione entro i termini previsti dalla legge.

Nonostante questo principio sia ormai costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, gli uffici sembrano però insistere nei contenziosi non riconoscendo il diritto alla detrazione del credito Iva la cui dichiarazione sia stata omessa.
Non di rado si verifica infatti che il contribuente usi in compensazione o riporti in dichiarazione un credito derivante da un periodo d’imposta la cui dichiarazione, per diverse ragioni (dimenticanza, scarto da parte del sistema, eccetera), risulti omessa.

Per l’anagrafe tributaria quel credito “compare” improvvisamente nella disponibilità del contribuente. Nella maggior parte dei casi, già con il controllo automatizzato, il Fisco rileva l’errore e, disconoscendo la legittimità di tale credito, chiede il versamento delle somme compensate.

La giurisprudenza

Una vicenda analoga è stata recentemente affrontata anche dalla Ctp di Reggio Emilia, che ha confermato la spettanza del credito (sentenza 87/02/2021 depositata il 14 aprile 2021, presidente e relatore M. Montanari). I giudici, richiamando il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, hanno ribadito la possibilità del contribuente di dimostrare anche in giudizio la sussistenza del credito, attraverso la produzione delle liquidazioni periodiche, dei registri, delle fatture, eccetera.

Va ricordato che in tema di credito Iva sono intervenute le Sezioni unite (17757/2016) secondo le quali, in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta va riconosciuta se sono rispettati dal contribuente tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, il cui onere probatorio è a suo completo carico. Per la Cassazione il fatto costitutivo del rapporto tributario con il Fisco va ravvisato nell’effettività e liceità dell’operazione: obblighi di registrazione, dichiarazione e simili hanno una funzione puramente illustrativa e riepilogativa dei dati contabili, finalizzata ad agevolare i controlli dell’amministrazione finanziaria per l’esatta riscossione dell’imposta. L’esercizio alla detrazione va quindi tutelato in misura sostanziale ed effettiva.

Sul punto, peraltro, la stessa agenzia delle Entrate, con ben due circolari (34/E/2012 e 21/E/2013), già da tempo ha invitato i propri uffici a verificare la spettanza sostanziale del credito a prescindere dall’eventuale omessa dichiarazione.
È pertanto singolare che, alla luce di tali chiari principi, gli uffici territoriali insistano nei propri contenziosi.

Il profilo penale

Peraltro l’utilizzo del credito derivante da dichiarazione omessa rappresenta un’indebita compensazione (violazione oggetto di specifici controlli come confermato dalla circolare 4/E del 7 maggio). Tale irregolarità potrebbe rilevare anche sotto il profilo penale: l’indebita compensazione di somme superiori a 50mila euro integra un reato punito da sei mesi a due anni, se riguarda crediti non spettanti; e da un anno e sei mesi a sei anni, se riguarda crediti inesistenti.

La sezione penale della Suprema corte ha ritenuto integrato il reato nell’ipotesi in cui le compensazioni riguardavano crediti non risultanti da dichiarazioni presentate. Ma questo rigoroso orientamento non è univoco sulla “qualificazione” del credito: secondo un indirizzo (ad esempio, sentenza 41229/2018), si tratta di credito non spettante; un diverso orientamento, invece (sentenza 43627/2018) ha ritenuto integrato il più grave reato di indebita compensazione di crediti inesistenti, proprio per la mancanza della dichiarazione.

È verosimile che tale diversa conclusione derivi dalla circostanza che i fatti oggetto di valutazione risalgono a un momento in cui il precetto penale non distingueva la pena tra crediti inesistenti e non spettanti. Tuttavia, poiché dall’ottobre 2015, è stata introdotta questa distinzione per le sanzioni penali applicabili, è molto rilevante individuare l’esatta fattispecie.

Da questi differenti orientamenti deriverebbe che la medesima condotta risulti regolarizzabile ai fini tributari, ma integri un grave reato tributario. Inoltre il contribuente, non dovendo pagare nulla al Fisco, non potrebbe paradossalmente accedere agli istituti premiali penali (non punibilità, patteggiamento, riduzione fino alla metà della pena, inapplicabilità delle pene accessorie), essendo tutti subordinati all’integrale pagamento del dovuto.

IN SINTESI

1 - Il recupero del credito
Secondo l’articolo 19 del Dpr 633/72, la detrazione (o il riporto) va effettuata al più tardi con la dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto (fino al 23/4/2017 era entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo).

2 - La dimostrazione

Documentare la sussistenza del proprio diritto fornendo all’ufficio fatture, liquidazioni periodiche, registri Iva acquisti e vendite, ulteriori documenti contabili utili. L’eventuale giudice tributario è tenuto a riconoscere il credito se il contribuente ne dimostra la spettanza, a prescindere dall’omessa dichiarazione.

3 - Le sanzioni

Le Sezioni unite, intervenute sul punto, solo in un inciso hanno ritenuto applicabile la sanzione per omessa dichiarazione. Mentre gli uffici applicano “automaticamente” la sanzione per omesso versamento ovvero indebita compensazione, oltre agli interessi.

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