Dichiarazioni ai verificatori ritrattabili in caso di errore
L’ordinanza 8698/2021 della Cassazione consente, a determinate condizioni, che si possa ritrattare quanto già dichiarato
La dichiarazione resa ai verificatori direttamente dal contribuente persona fisica o dal legale rappresentante di una società costituisce confessione stragiudiziale, sufficiente da sola a legittimare l’accertamento presuntivo esperito dal Fisco, almeno secondo la costante giurisprudenza della Suprema corte; tuttavia, l’ordinanza 8698/2021 apre uno spiraglio a favore dei contribuenti che, a certe condizioni, possono ritrattare quanto già dichiarato.
Ripercorrendo un passo indietro, occorre ricordare che, per la diversa questione relativa alle dichiarazioni di terzi, la Cassazione ha sempre stabilito che esse rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice: in sostanza, tali dichiarazioni hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’articolo 2729 c.c., danno luogo a presunzioni; però, al fine di evitare che l’ammissibilità di tali dichiarazioni possa pregiudicare la difesa del contribuente e il principio di uguaglianza delle parti, è necessario riconoscere che, al pari dell’Amministrazione finanziaria, anche il contribuente possa introdurre nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale per far valere le proprie ragioni, e tali dichiarazioni costituiscono indizi, che necessitano di essere valutati congiuntamente ad altri elementi (Cassazione 13174/2019, 12559/2015 e 6966/2016).
Confessione stragiudiziale
Diverso valore probatorio assumono invece tali dichiarazioni, quando a renderle al personale ispettivo del Fisco è il contribuente stesso o chi vi si possa immedesimare organicamente. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, infatti, le dichiarazioni del legale rappresentante di una società non rivestono la natura di mere dichiarazioni testimoniali, in quanto il rapporto di immedesimazione organica che lega il rappresentante legale alla società rappresentata esclude che il primo possa essere qualificato come testimone, in riferimento ad attività poste in essere dalla seconda: esse possono, invece, essere apprezzate come una confessione stragiudiziale, e costituiscono pertanto prova non già indiziaria, ma diretta, del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti della società, non necessitando, come tale, di ulteriori riscontri (Cassazione 3385/2020, 4348/2016, 20259/2015, 22616/2014); e ciò anche se la dichiarazione sia stata rilasciata dall’ex legale rappresentante della società (Cassazione 403/2016).
Pertanto, l’accettazione da parte del contribuente, in contraddittorio con i verbalizzanti, di una data percentuale di ricarico può essere apprezzata come confessione stragiudiziale risultante proprio dal processo verbale sottoscritto e, quindi, tale da legittimare l’accertamento dell’Ufficio; così come ogni dichiarazione del legale rappresentante può costituire prova, non già indiziaria, ma diretta del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti della società, non bisognevole, come tale, di ulteriori riscontri (Cass. 31600/2019).
Le stesse conclusioni, peraltro, proprio recentemente sono state confermate nell’ipotesi in cui la dichiarazione al personale ispettivo del Fisco sia stata resa non dal legale rappresentante della società, ma dal contribuente persona fisica, in sede di redazione del Pvc, nel corso di una verifica nei riguardi della sua ditta individuale (Cassazione 592/2021).
La Guardia di Finanza, nella sua circolare sulle attività di verifica, ha osservato che, anche riconoscendo valore di confessione stragiudiziale alla sottoscrizione del contribuente, questa va funzionalmente collegata alla specifica validità giuridica del processo verbale e, segnatamente, all’oggetto della fede privilegiata normativamente riconosciutagli (circolare 1/2018, parte III, capitolo 3, paragrafo 10, lett. a), n. 2).
Secondo alcuni giudici di merito, esisterebbe, invero, una sorta di graduazione del valore probatorio delle dichiarazioni rese dal contribuente a seconda della sede: è stato infatti stabilito che l’invito a comparire personalmente presso l’Ufficio corrisponde a una funzione tipica di accertamento, e anche qualora esso sia stato utilizzato per acquisire informazioni in modo ritenuto capzioso non muta i termini del problema, dal momento che nessuna disposizione contempla espressamente l’inutilizzabilità per il Fisco delle dichiarazioni in tale senso acquisite, né l’invito dell’Ufficio può costituire callido esercizio di captazione di informazioni, dal momento che è lecito presumere che il contribuente sia pienamente a conoscenza della situazione dell’attività d’impresa, dovendosi escludere quindi l’inutilizzabilità di tali dichiarazioni; tuttavia, queste ultime, se rese non in sede di verifica, con conseguente valore confessorio, ma in un diverso contesto (come appunto quello dell’accertamento “a tavolino” presso l’Ufficio), sono suscettibili di rettifica e integrazione da parte dello stesso contribuente (Ctr Bologna, sentenza 663/2020).
Invalidazione in caso di errore
Particolare rilievo assume in proposito la recente ordinanza 8698/2021, con cui la Cassazione ha nuovamente esaminato il caso di una Srl, il cui legale rappresentante aveva dichiarato ai verificatori, con conseguente cristallizzazione nel Pvc, che il ricarico applicato dalla società era di circa il 100%, percentuale che poi l’Ufficio aveva appunto impiegato nell’avviso di accertamento analitico-induttivo emesso nei confronti della Srl.
La difesa di parte si era opposta eccependo, tra l’altro, che la dichiarazione del legale rappresentante della società non avrebbe potuto assumere valore confessorio. La Cassazione, declinando tale tesi, ha ribadito i suoi pregressi arresti, per cui, appunto, tale dichiarazione assume le caratteristiche della confessione stragiudiziale, aggiungendo però - ed è qui l’elemento innovativo della pronuncia - che, al fine di togliere efficacia alla dichiarazione confessoria, non è sufficiente che il confitente svolga contestazioni in merito alla veridicità dei fatti che ne formano oggetto, dovendo lo stesso richiederne l’invalidazione ai sensi dell’articolo 2732 del codice civile, allegando e dimostrando la non veridicità della dichiarazione e il fatto che la stessa è stata determinata da errore o da violenza (Cassazione 14780/2009).
Sebbene l’invalidazione della confessione stragiudiziale - ha continuato la Suprema corte, con l’ordinanza 8698/2021 - non postuli un’apposita domanda giudiziale, la relativa istanza, contenente la specifica allegazione dei fatti costitutivi della fattispecie di cui all’articolo 2732 del codice civile, non può che essere avanzata nella prima difesa successiva all’atto, giudiziale o stragiudiziale, con il quale sia stata fatta valere la dichiarazione confessoria.
In conclusione, quindi, il contribuente che abbia reso una dichiarazione agli organi verificatori e intenda rettificarla, per l’errore commesso, deve eccepire, già in sede di ricorso introduttivo avverso l’avviso di accertamento che su quella dichiarazione si fonda, la non veridicità della dichiarazione resa e dimostrare che la stessa è affetta da errore.
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