Dividendi esteri, rimborsi in salita
Ho letto l’articolo sulla tassazione sui dividendi di Primo Ceppellini e Roberto Lugano (si veda Il Quotidiano del Fisco del 13 luglio ). Gradirei far presente due situazioni.
1) L’applicazione della doppia imposizione della tassa sul dividendo estero è oltremodo farraginosa per richiedere all’agenzia delle Entrate il rimborso della quota non dovuta. Le banche italiane chiedono ai privati per esperire ogni singola pratica 300 euro più Iva e logicamente si procede se il rimborso eccede la suddetta cifra per la quota che supera il 15% che le banche estere trattengono. Ho sprecato una mattina per due semplici vidimazioni che dovrebbero essere gestite dalle banche. La Spagna , il Portogallo e gli Usa hanno la convenzione automatica che elimina ogni fardello burocratico per l’azionista. Il mercato europeo verrebbe percepito più coeso da un accordo omogeneo tra stati membri, ciò aumenterebbe l’interscambio azionario e la cultura finanziaria degli italiani che usufruirebbero di maggiori opportunità di investimento. Anche le banche incrementerebbero commissioni e utili da compravendite.
2) La seconda questione è il limite che il correntista ha per la detenzione di dollari o valuta diversa oltre il valore di 51.400 euro (i vecchi 100 milioni di lire) per la durata di sette giorni lavorativi. Il superamento di questa soglia liquida sul conto corrente anche per un momento impone al correntista la dichiaraziona analitica al fisco con evidente perdita di tempo. Credo che sarebbe il momento di abolire questa norma sia perché le banche agiscono già come sostitute d’imposta fino al menzionato limite vista la tracciabilità e anche per dare un segnale di forza e maturità finanziaria con evidente ricaduta favorevole dovuta alla Brexit.