Imposte

Dl Rilancio, i bonus patrimonializzazione tagliano fuori le holding

Il provvedimento lascia a terra molti potenziali beneficiari

Il decreto Rilancio contiene disposizioni tributarie dedicate al rafforzamento patrimoniale delle imprese di medie dimensioni. Sono contenute nell’articolo 26 che prevede due diverse tipologie di crediti d’imposta: uno a favore dei soci che effettuano aumenti di capitale in denaro entro il 31 dicembre 2020 (commi 4 e 5) ed uno a beneficio diretto delle imprese partecipate destinatarie dei conferimenti (comma 8). Sembrerebbe, quindi, un intervento di grande efficacia poiché da un lato agevola il socio investitore e, dall’altro, riconosce un bonus anche alla società conferitaria. La declinazione della norma, purtroppo, delude le attese.

Il perimetro regolatorio
Si prevede, infatti, che le società conferitarie “agevolabili” sono tutte le società di capitali, escluse quelle di cui all’articolo 162-bis del Tuir e quelle che esercitano attività assicurative (comma 1). Ciò significa che sono escluse dalla platea delle società cui si potrà conferire denaro avvantaggiandosi del tax credit - fissato in misura pari al 20% degli aumenti di capitale eseguiti fino alla soglia massima di 2 milioni di euro – anche le società holding di partecipazione. E, fin qui, nulla quaestio almeno se la ratio legis fosse quella di limitare le operazioni rilevanti a quelle che hanno come conferitaria una società operativa. Evenienza, questa, peraltro coerente con la fissazione di condizioni di accesso che non sono tipicamente riscontrabili nelle società holding (ricavi compresi tra 5 e 50 milioni di euro e, soprattutto, la riduzione di ricavi nei mesi di marzo ed aprile 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, condizione che mal si attaglia ad una società che esercita in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni).

Le esclusioni
Ma il castello crolla quando si legge l’ultimo periodo del comma 5 dove si prevede che «non possono beneficiare del credito d’imposta le società che controllano direttamente o indirettamente la società conferitaria, sono sottoposte a comune controllo o sono collegate con la stessa ovvero sono da questa controllate». Questa disposizione, infatti, esclude che possano beneficiare del credito d’imposta, inter alia, le società che controllano la conferitaria.
Ebbene, il combinato disposto delle due esclusioni (delle holding tra le società in cui il socio può conferire fruendo del beneficio e delle società controllanti tra quelle che possono conferire nelle società operative ottenendo il credito d’imposta) rende la norma sostanzialmente priva di appeal. Non sfugge, infatti, come l’assetto tipico delle imprese nazionali sia quello di soci che partecipano ad una holding che a sua volta detiene partecipazioni (spesso di controllo) nelle società operative.

L’impatto reale
Ora, nel contesto delineato dal decreto Rilancio si avrebbe la seguente situazione: la persona fisica Alfa che partecipa alla holding Beta non avrà alcun beneficio perché la società partecipata non rientra nel perimetro di quelle elegibili per il beneficio fiscale. Allo stesso modo la holding Beta non potrà beneficiare del conferimento in denaro fatto a Gamma (che, invece, rientra tra le società in cui si può conferire il denaro) poiché è espressamente esclusa dal beneficio quale controllante della conferitaria. Diverso sarebbe, invece, il caso qualora la persona fisica Alfa partecipasse (anzi controllasse) direttamente Gamma: nessuna limitazione verrebbe ad applicarsi ed il socio potrebbe beneficiare del credito d’imposta. Non si ravvisa, tuttavia, alcuna ragione per discriminare in questo modo due fattispecie assolutamente identiche (detenzione diretta della partecipazione e detenzione attraverso una società holding).

La necessità di un ritocco
Sembra, invece, potersi sostenere che l’ultimo periodo del comma 5 è frutto di una infelice scrittura che, però, allo stato, senza una radicale modifica in sede di conversione del decreto, avrebbe l’effetto di escludere dalla platea dei soggetti destinatari dei benefici la stragrande maggioranza dei soci che dovrebbero immettere capitale di rischio nelle imprese nazionali. Ed anche coloro che potrebbero farlo, come le società che non detengono partecipazioni di controllo o collegamento con la conferitaria né appartengono al medesimo gruppo, dovranno valutare con grande attenzione poiché rischiano di trovarsi nella surreale situazione per cui una eventuale distribuzione di riserve entro la fine del 2023 (deliberata dal socio di maggioranza che non ha beneficiato di alcun tax credit e che loro non possono impedire) avrebbe l’effetto di determinare la decadenza del loro beneficio fiscale (commi 5 e 8).

Le due «vie»
In sede di conversione, pertanto, sarebbe auspicabile che venissero apportate significative modifiche che possono sintetizzarsi in due opzioni fondamentali: o si inseriscono le holding tra le società eleggibili per il beneficio (senza imporre, ovviamente, il rispetto di limiti quantitativi incoerenti con la loro natura) oppure si elimina il divieto di poter beneficiare del credito d’imposta alla società controllanti, inserendo invece una previsione antiabuso volta ad evitare la moltiplicazione degli effetti a seguito di aumenti di capitale “a cascata” nell’ambito dei gruppi (peraltro ben nota al nostro ordinamento nell’ambito di precedenti misure che si ponevano il medesimo obiettivo). La seconda soluzione appare evidentemente quella preferibile perché se l’intento del Governo era quello di far cumulare i benefici tra socio conferente e società partecipata che realizza una perdita nell’esercizio 2020 (come espressamente previsto dal comma 20) è intuitivo ritenere che le perdite saranno più facilmente realizzate dalle società operative ed il cumulo, quindi, sarà possibile solo se anche la società holding che controlla la conferitaria potrà beneficiare della misura. E con questo intervento si eliminerebbe alla radice il tema degli effetti distorsivi connessi alla decadenza dal beneficio dei soci conferenti per effetto di delibere di distribuzione di riserve entro il “periodo di osservazione” assunte dal socio di maggioranza (che non subisce penalizzazioni) poiché tutti i soci si troverebbero nella medesima situazione.

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