Imposte

Esportazioni indirette, se la merce esce entro i 30 giorni di «tolleranza» la fattura non va regolarizzata

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di Luca De Stefani


Nelle esportazioni indirette, se la merce esce dalla Ue dopo i 90 giorni dalla spedizione ma comunque entro i successivi 30 giorni previsti per la regolarizzazione, la fattura emessa senza Iva non deve essere regolarizzata. Infatti, l'operazione rimane non imponibile, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera b), Dpr n. 633/1972.
Se invece l'uscita dalla Ue e la relativa prova si hanno dopo i 120 giorni dalla consegna della merce al cessionario non residente o a un terzo, per suo conto, la fattura non imponibile deve essere regolarizzata entro il centoventesimo giorno, ma l'Iva versata può essere recuperata, tramite “l'emissione di una nota di variazione” o un'istanza di rimborso.
Sono queste le conclusioni della risoluzione delle Entrate 10 novembre 2014, n. 98/E, che ha recepito i principi indicati nella sentenza della Corte di Giustizia Ue, del 19 dicembre 2013, n. C-563/12.

La normativa italiana
In base all'articolo 8, comma 1, lettera b), dpr n. 633/1972, sono non imponibili Iva “le cessioni con trasporto o spedizione fuori del territorio” Ue entro 90 giorni “dalla consegna, a cura del cessionario non residente o per suo conto”. Se “il trasporto o la spedizione fuori del territorio dell'Unione europea non” avviene nel suddetto termine si applica la sanzione amministrativa del 50% dell'Iva non esposta in fattura, a meno che nei 30 giorni successivi allo spirare dei 90 giorni, non venga effettuata la “regolarizzazione della fattura” ed il versamento della relativa Iva (articolo 7, comma 1, decreto legislativo n. 471/1997).
Si tratta delle cosiddette esportazioni indirette (“ex works” o franco fabbrica, abbreviato EXW, in base alla codifica Incoterms), dove i beni vengono trasportati fuori dall'Unione da parte del cessionario non residente o, per conto del medesimo, da un terzo.

La sentenza della Corte di Giustizia Ue
Secondo la sentenza della Corte di Giustizia della Ue, emessa in data 19 dicembre 2013 nel procedimento C-563/12, riguardante la legislazione ungherese (molto simile a quella italiana), l'articolo 146, paragrafo 1, lettera b), direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, relativo all'esenzione da Iva delle esportazioni indirette, va letto anche considerando che l'articolo 14, paragrafo 1, della stessa direttiva, considera «cessione di beni» il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario.
Secondo i Giudici Ue, è legittima la normativa che prevede che “una cessione di beni destinati all'esportazione sia assoggettata all'imposta”, se i beni non lasciano il territorio dell'Unione “entro un termine ragionevole stabilito dalla normativa nazionale”. Tuttavia, secondo la Corte, si deve “consentire al soggetto passivo di dimostrare, al fine di beneficiare di tale esenzione, che la condizione è stata soddisfatta dopo lo scadere di tale termine”, prevedendo “un diritto del soggetto passivo al rimborso dell'Iva già corrisposta in ragione del non rispetto del termine, qualora fornisca la prova che la merce ha lasciato il territorio doganale dell'Unione”.

La nuova posizione delle Entrate
Secondo le Entrate, quindi, il termine dei 90 giorni stabilito dalla normativa italiana (articolo 8, comma 1, lettera b, dpr n. 633/1972), “entro il quale la merce deve essere esportata, affinché la cessione sia considerata un'operazione non imponibile ai fini dell'Iva, non contrasta con la Direttiva comunitaria”.
E' conforme alle disposizione Ue “anche la procedura di regolarizzazione” dell'articolo 7, comma 1, decreto legislativo n. 471/1997, che il cedente nazionale deve attuare allo spirare del suddetto termine di 90 giorni, se non ha la prova dell'uscita del bene dal territorio nazionale.
Invece, non è in linea con la decisione della Corte la soluzione:
- di “negare il beneficio della non imponibilità, nonostante sia possibile dimostrare l'uscita dei beni dal territorio doganale dell'Unione, seppure dopo lo scadere del predetto termine”;
- di “non consentire il recupero dell'Iva corrisposta in sede di regolarizzazione”.
Quindi, considerando la suddetta sentenza della Corte europea, per le Entrate il regime di non imponibilità delle esportazioni si deve applicare:
- sia quando il bene è stato “esportato entro i 90 giorni, ma il cedente ne acquisisca la prova oltre il termine dei 30 giorni previsto per eseguire la regolarizzazione”;
- sia quando il bene esce “dal territorio comunitario dopo il decorso del termine di 90 giorni”, a patto che “sia acquisita la prova dell'avvenuta esportazione”.
In definitiva, se la merce risulta “esportata oltre i 90 giorni ma, comunque, entro i 30 giorni previsti” per la regolarizzazione (articolo 7, comma 1, decreto n. 471/1997) e il contribuente ha la “prova dell'avvenuta esportazione” entro il secondo termine dei 30 giorni, la regolarizzazione della fattura emessa senza Iva non è obbligatoria. Quindi, non va versata la relativa imposta, “senza, per questo, incorrere in alcuna violazione sanzionabile”.
Se invece il contribuente versa l'Iva durante i 30 giorni relativi alla regolarizzazione e la prova dell'esportazione si ha successivamente (cioè, sia dopo il primo termine dei 90 giorni, sia dopo il secondo termine dei 30 giorni), può sempre recuperata l'imposta versata, tramite “l'emissione di una nota di variazione” (articolo 26, comma 2, dpr n. 633/1972), entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al secondo anno successivo a quello in cui è avvenuta l'esportazione. In alternativa, può presentare un'istanza di rimborso, entro il 2 anni dal versamento o dal verificarsi del presupposto del rimborso (articolo 21, decreto legislativo n. 546/1992).

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