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Fatture di acquisto, il Fisco non può chiedere dati di cui già dispone

Le Entrate sono già in possesso dei documenti inviati tramite il Sistema di interscambio (Sdi)

Nell'audizione presso la Camera dei Deputati del 24 giugno scorso, il direttore dell’agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, trattando degli «effetti dell’introduzione della fatturazione elettronica», si è inizialmente soffermato sui vantaggi derivanti dall’introduzione di tale modalità di emissione delle fatture. E, tra tali vantaggi, il direttore non ha mancato di sottolineare come la digitalizzazione delle fatture abbia avuto effetti positivi anche in termini di semplificazione fiscale, di riduzione del numero degli adempimenti nonché di modernizzazione del settore produttivo italiano, con conseguente riduzione dei costi amministrativi per le imprese.

Rispetto a simili affermazioni, in linea di principio condivisibili, stona tuttavia la constatazione di un progresso non particolarmente sensibile, non tanto per i contribuenti, quanto più a livello degli uffici della stessa agenzia delle Entrate. Sono infatti giunte segnalazioni sul fatto che, a seguito delle richieste di rimborsi (ad esempio, relativi all’Iva) avanzate dai contribuenti, nell'ambito della documentazione per i controlli sulla spettanza di detti crediti, gli uffici delle Entrate ancora oggi invitano i contribuenti a fornire le fatture di acquisto ricevute. Fatture – peraltro richieste come «copie cartacee», pur trattandosi di documenti c.d. «nativi digitali» – che l’amministrazione finanziaria necessita per verificare la corretta sussistenza dei crediti richiesti a rimborso, ma che, a ben guardare, risultano senza dubbio comprese nella documentazione che l’Agenzia ha già a disposizione. Ciò, è ormai noto, grazie al transito di – quasi – tutte le fatture, emesse e ricevute da parte degli operatori, dal Sistema di Interscambio (Sdi), ossia il sistema di supporto gestito dall’agenzia delle Entrate tramite il quale viene appunto veicolato il flusso di fatturazione attiva e passiva.

Ebbene, quanto riportato circa le richieste documentali ai contribuenti collide chiaramente con il dettato dell’articolo 6 dello Statuto («Conoscenza degli atti e semplificazione»). In tale articolo sono contenute diverse norme, le quali hanno a che vedere, tra l’altro, con le “informazioni” che, da un lato, il contribuente deve fornire nonché, dall’altro, ricevere.

In particolare, la disposizione che interessa ai nostri fini è quella di cui al comma 4 del già citato articolo 6, secondo il quale «Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente». Risulta quindi evidente come la richiesta ai contribuenti, da parte dell’agenzia delle Entrate, di documentazione che la stessa ha modo di visionare autonomamente – visto il transito di tutte le fatture dai propri sistemi informativi (SdI in questo caso) – non possa in nessun modo ritenersi espressiva dell’equilibrio fra le parti del rapporto fiscale. Questo, in particolare, se si considera che dall’attività richiesta al contribuente – raccolta delle copie delle fatture di acquisto e invio all’ufficio competente per la richiesta di rimborso – non consegue alcun effetto che non possa essere raggiunto tramite l’attività che la stessa amministrazione finanziaria, per l'appunto, può autonomamente porre in essere.

Peraltro, se il comma 4 sopra richiamato non dovesse bastare, si può fare riferimento al comma 3-bis dello stesso articolo 6, il quale stabilisce che «L’amministrazione finanziaria assicura che il contribuente possa ottemperare agli obblighi tributari con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose e più agevoli». Insomma, da qualsiasi angolazione la si guardi, la situazione non cambia: alla data odierna, le richieste di inoltro delle fatture di acquisto (così come quelle relative a documentazione in ogni caso già in possesso dell’amministrazione finanziaria) non hanno alcuna ragion d'essere né giustificazione – se non, forse, quella di traslare sul contribuente l’adempimento di mansioni compilative al fine di non “appesantire” l’operato degli uffici delle Entrate.

Ma quanto detto non può evidentemente rappresentare una motivazione valida per reiterare richieste di informazioni che vanno in direzione contraria all’auspicata «riduzione dei costi amministrativi per le imprese», così come connessa agli adempimenti tributari.È quindi auspicabile un rapido cambio di passo da parte dell’agenzia delle Entrate, evitando così che, in caso di mancato invio di documenti che a monte non dovrebbero essere richiesti, situazioni come quelle sopra riportate possano degradare in sterili contestazioni a livello procedimentale o, peggio, processuale.

Questo articolo fa parte del nuovo Modulo24 Accertamento e riscossione del Gruppo 24 Ore. Leggi gli altri articoli degli autori del Comitato scientifico e scopri i dettagli di Modulo24