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FISCO E AGRICOLTURA/Colture «idroponiche» in cerca della tariffa d’estimo

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di Alessandra Caputo e Gian Paolo Tosoni


Le colture agricole idroponiche sono tassate in base alla tariffa d’estimo più alta in vigore nella provincia a meno che non siano effettuate su superfici dotate di reddito agrario, tenendo conto anche dei piani rialzati. Si definiscono «idroponiche» le colture fuori suolo o senza suolo, dove la terra è sostituita da un substrato inerte, come argilla espansa, fibra di cocco, lana di roccia o zeolite. Queste attività sono agricole sul piano civilistico in quanto l’articolo 2135 del Codice civile fa riferimento ad attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso che «utilizzano o possono utilizzare il fondo»; pertanto non è necessaria la presenza di un fondo.
Sul piano fiscale, per le coltivazioni che prescindono dal terreno, si ritiene possa trovare applicazione il disposto all’articolo 32, comma 2, del Tuir il quale definisce agricole le produzioni di vegetali realizzate «tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione stessa insiste».

Pertanto, entro determinati limiti, le colture idroponiche sono produttive di reddito agrario; la parte di produzione che, invece, eccede questo limite concorre a formare il reddito di impresa nella misura prevista dall’articolo 56-bis del Tuir, ovvero nell’ammontare corrispondente al reddito agrario relativo alla superficie sulla quale la produzione insiste e si determina compilando il quadro RD del modello di dichiarazione dei redditi.
Se, ad esempio, la struttura ha una superficie di 1.000 metri quadrati, rientra nel reddito agrario la coltivazione fino a 2mila metri quadrati mentre la parte eccedente rientra nel reddito di impresa determinato sempre in base alla tariffa di reddito agrario.

Tuttavia, queste colture spesso vengono svolte in serre accatastate in D/10, ovvero su superfici prive di reddito agrario. In questa ipotesi, l’articolo 34, comma 4 del Tuir prevede che per la determinazione del reddito agrario delle superfici adibite alle colture prodotte in serra si applica quanto previsto dall’articolo 28, comma 4-bis del Tuir; tale ultima norma dispone che il reddito dominicale delle superfici adibite alle colture prodotte in serra o alla funghicoltura, in mancanza della corrispondente qualità nel quadro di qualificazione catastale, è determinato mediante l’applicazione della tariffa d’estimo più alta in vigore nella provincia.

In sostanza, il legislatore ha individuato una procedura per attribuire il reddito agrario a quelle culture che sono svolte su superfici che sono prive della tariffa d’estimo.
Le disposizioni agli articoli 34 e 28 del Tuir sono riferite alle serre; ne consegue che, qualora la coltura sia effettuata in fabbricati diversi (ad esempio, fabbricati industriali di categoria D/7) occorre stabilire se la fattispecie sia assimilabile alle serre. Importante appare la circostanza che il fabbricato venga iscritto nella categoria D10 (come lo sono le serre con struttura in cemento). In ordine all’autodeterminazione della rendita catastale ci sono le condizioni per la assimilazione alle serre ma una conferma ufficiale dell’Agenzia sarebbe opportuna.

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