Controlli e liti

FISCO E SENTENZE/Le massime di merito: responsabilità solidale, notifiche

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di Ferruccio Bogetti e Filippo Cannizzaro

L’omessa compilazione di Rw ostacola il rimborso dell’euroritenuta. Nessuna responsabilità solidale con il sostituto d’imposta. L’errata indicazione del Paese d’origine rende il dichiarante responsabile dei maggiori dazi accertati. Per i soggetti residenti all’estero le notifiche non vanno più eseguite in Italia. Stop all’appello notificato all’indirizzo corretto del procuratore ma fuori termine. Il prestito amicale non giustifica le movimentazioni sul conto corrente. Il contante accumulato in cassaforte e poi versato giustifica l’importi superiori agli incassi. Sono questi gli argomenti trattati dalla rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.

L’omessa compilazione di Rw ostacola il rimborso dell’euroritenuta
Il contribuente, che detiene attività finanziarie estere non dichiarate, non ha diritto al rimborso della ritenuta eurounitaria effettuata dall’istituto di credito presso il quale transitano tali somme. A maggior ragione se il contribuente ha definito, tramite la voluntary disclosure, gli inviti notificati dall’Amministrazione per l’omessa dichiarazione di tali attività, ove tra l’altro non veniva riconosciuta la ritenuta operata dall’istituto di credito. In primo luogo, dal punto di vista processuale, il ricorso introduttivo avverso il diniego di rimborso è inammissibile per aver il contribuente riconosciuto, tramite adesione volontaria, la correttezza dell’operato dell’ufficio, e quindi la richiesta di rimborso dell’euroritenuta non può più essere oggetto di contestazione, come disposto dall’articolo 2 del Dlgs 218 del 1997. In secondo luogo, dal punto di vista normativo, l’omessa compilazione del Quadro Rw non consente alla contribuente di detrarre l’imposta estera trattenuta dall’istituto di credito, come previsto dall’articolo 165, comma 8 del Tuir, norma avente finalità sanzionatoria.
Nel caso esaminato, l’Amministrazione notifica degli inviti inerenti gli anni dal 2010 al 2013 tramite cui accerta attività estere non dichiarate e disconosce la ritenuta eurounitaria operata dall’istituto di credito pari ad oltre 24mila euro. La contribuente si avvale della voluntary disclosure. Successivamente, nel gennaio 2017 la contribuente presenta richiesta di rimborso dell’euroritenuta, richiesta respinta dall’Amministrazione nel giugno 2017 e impugnata dalla contribuente nel settembre 2017.
Ctp Mantova, sentenza 12/1/2018

Nessuna responsabilità solidale con il sostituto d’imposta
Il contribuente, sostituito d’imposta, che percepisce un reddito al netto della ritenuta a titolo d’acconto, non è responsabile in solido col sostituto del mancato pagamento dell’imposta da questi trattenuta ma non versata. A livello normativo, il sostituito non è coobbligato solidale col sostituto, perché il soggetto, tenuto al pagamento, è il solo sostituto, obbligato al versamento per conto di altri a titolo di acconto in base al primo comma dell’articolo 64 del Dpr 600 del 1973. Inoltre in caso di mancato versamento da parte del sostituto di somme a titolo d’acconto, il debito non può essere iscritto a ruolo anche nei confronti del sostituito, in quanto la norma (articolo 35 del Dpr 602 del 1973) si applica solo a redditi sui quali il sostituto non ha effettuato alcuna ritenuta. A livello sostanziale, non si può considerare il sostituito soggetto coobbligato col sostituto per somme da questi trattenute e non versate. Diversamente questi si troverebbe nella paradossale situazione di versare somme che non gli sono state nemmeno erogate siccome trattenute dal sostituto, in violazione del principio di capacità contributiva, cioè in pratica il sostituito verrebbe di fatto assoggettato a tassazione due volte.
Nel caso esaminato, un contribuente impugna un’iscrizione a ruolo scaturente dal controllo sul modello Unico 2013, relativo all’anno 2012, e notificato nel 2016 tramite cui l’ufficio ricupera maggiore Irpef per oltre 17mila euro, ripresa fondata sulla circostanza che il sostituto non aveva versato le ritenute applicate.
Ctp Sondrio, sentenza 18/02/2018

L’errata indicazione del Paese d’origine rende il dichiarante responsabile dei maggiori dazi accertati
In caso di accertamento di maggiori dazi doganali per errata indicazione del paese di origine della merce resa in sede doganale, il soggetto responsabile è il dichiarante, anche se questi agisce per conto dell’importatore effettivo titolare della merce, che ne risponde in solido, in base alle norme stabilite dal regolamento Cee. È infatti infondata la tesi del dichiarante che eccepisce il proprio difetto di legittimazione passiva siccome la merce – di provenienza da un paese di origine difforme da quello indicato in sede doganale - è di proprietà dell’importatore che ha dato mandato al dichiarante di espletare le formalità in dogana. È invece valida la tesi dell’agenzia delle Dogane che individua nel dichiarante il soggetto tenuto al pagamento dei maggiori dazi accertati dato che:
a) a mente dell’articolo 4 del regolamento Cee il dichiarante è colui il quale rilascia, e quindi sottoscrive, la dichiarazione in dogana;
b) in base all’articolo 201 del regolamento Cee soggetto passivo dei dazi è il dichiarante, anche se questi agisce per conto dell’importatore, e quindi non rileva la circostanza che il dichiarante non coincida con il soggetto acquirente della merce.
Nel caso esaminato, una Srl esercente attività di commercio di all’ingrosso di materiale elettrico, importa nel 2014 pannelli solari formalmente provenienti dal Taiwan e conferisce mandato ad altra Srl per l’espletamento delle formalità doganali. Quest’ultima, in sede doganale, conferma il paese di provenienza della merce. Successivamente l’agenzia delle Dogane scopre che la merce in realtà proviene dalla Cina e notifica avviso nel 2016 all’importatore ed al dichiarante tramite cui ricupera maggiori dazi per oltre 34mila euro comprensivo di sanzioni ed interessi.
Ctp Treviso, sentenza 88/04/2018

Per i soggetti residenti all’estero le notifiche non vanno più eseguite in Italia
Il coniuge, regolarmente separato e residente in Svizzera, non deve dichiarare gli assegni di mantenimento percepiti dal coniuge perché non è più soggettivo passivo d’imposta in Italia come dispone il secondo comma dell’articolo 2 del Tuir. L’assoggettamento all’imposizione elvetica si fonda sia sul certificato di residenza storico sia all’iscrizione ad un Albo professionale. Nel caso esaminato, una contribuente nel 2009 percepisce assegni di mantenimento dall’ex coniuge e nel medesimo anno si trasferisce in Svizzera dove svolge anche l’attività professionale di Avvocato regolarmente iscritto all’Ordine di Ginevra. Ma secondo l’Amministrazione tali somme avrebbero dovuto essere dichiarate in Italia, e ridetermina il reddito 2009 di oltre 73mila euro e ricupera maggiore Irpef per oltre 24mila euro e addizionale regionale per oltre 600 euro. Né tanto meno è valida la notifica della cartella di pagamento nei confronti di un contribuente residente all’estero il cui indirizzo è pienamente conoscibile dall’Amministrazione tramite consultazione degli indirizzi esteri dell’iscritto all’Aire, se questa è effettuata tramite semplice affissione alla casa comunale con le modalità della irreperibilità assoluta, senza invio della raccomandata presso l’indirizzo estero.
Nel caso esaminato, il concessionario nel 2009 notifica un’iscrizione a ruolo tramite cartella concernente imposte di registro e bollo auto presso l’ultima residenza italiana del contribuente, risultato poi trasferitosi all’estero nel medesimo anno tramite deposito dell’atto presso la casa comunale e affissione dell’avviso.
Ctr Lombardia, sentenza 473/11/2018
Ctr Lombardia, sentenza 502/06/2018

Stop all’appello notificato all’indirizzo corretto del procuratore ma fuori termine
Nel processo tributario, la denuncia di variazione del domicilio eletto opera esclusivamente nei confronti della parte, e non nei confronti del suo difensore, che non è tenuto a comunicare alla parte resistente la variazione dell’indirizzo. Questo perché la parte elegge domicilio presso il proprio procuratore e non presso il suo indirizzo. Pertanto è inammissibile l’appello dell’amministrazione qualora questa abbia tentato invano la notifica al vecchio indirizzo, e successivamente abbia si notificato l’atto di gravame presso l’indirizzo (nuovo) corretto del procuratore, ma oltre il termine lungo per promuovere l’azione. Dal punto di vista prettamente processuale:
a) il difensore del contribuente non è gravato dal comunicare alla controparte del giudizio la variazione di indirizzo del proprio studio;
b) per contro, è l’Amministrazione che, utilizzando l’ordinaria diligenza, deve individuare, tramite consultazione online dell’Albo professionale, l’indirizzo esatto presso cui notificare l’atto di gravame, essendo l’Albo fonte legale di conoscenza del domicilio degli iscritti, ed è solo a tale ente che il procuratore deve comunicare i mutamenti della sede.
Nel caso esaminato, l’Amministrazione perde il contenzioso nel giudizio, con sentenza depositata in data 11 gennaio 2016. Essa notifica il ricorso in appello all’indirizzo del difensore del contribuente risultante dagli atti processuali, notifica che però non va a buon fine e, a seguito di istanza rinnovazione della notifica, ri-notifica il gravame presso l’indirizzo nuovo del difensore il 19 luglio 2016.
Ctr Lombardia, sentenza 970/1/2018

Il prestito amicale non giustifica le movimentazioni sul conto corrente
È legittima la ripresa dell’Amministrazione, fondata sulle movimentazioni risultanti dal conto corrente bancario del contribuente, se questi si limita ad indicare che tali somme si riferiscono a prestiti amicali tramite dichiarazioni rese dai beneficiari, ma di fatto non dimostra in maniera analitica che le somme versate si riferiscono ad operazione. Infatti possono essere poste a base dell’accertamento i singoli dati ed elementi risultanti dal conto corrente, come previsto dal comma 7 dell’articolo 32 del Dpr 600 del 1973. Viceversa, non bastano le dichiarazione prodotte dal contribuente per dimostrare le restituzioni di prestiti amicali, perché sono:
a) giustificazioni delle movimentazioni generiche e non analitiche;
b) dichiarazioni sono prive di autenticità, da trattare come qualsiasi scrittura privata poiché non è certa né la data in esse apposta né l’identità del sottoscrittore.
Nel caso esaminato, l’Amministrazione accerta un contribuente sulla scorta delle movimentazioni risultanti dal conto corrente relative al 2006 ed al 2007. Il contribuente si oppone e sostiene che le somme si riferiscono a prestiti effettuati da propri amici.
Ctr Lazio, sentenza 569/3/2018

Il contante accumulato in cassaforte e poi versato giustifica l’importi superiori agli incassi
Stop all’accertamento bancario emanato dall’Amministrazione nei confronti del professionista fondato sulla circostanza che in determinati periodi dell’anno gli importi versati sono superiori alle ricevute emesse se il contribuente giustifica la provenienza di tali somme. È infondata la tesi del fisco secondo cui tali somme afferiscono a somme sottratte a tassazione siccome in determinati periodi dell’anno i versamenti sono superiori agli importi risultanti dalle parcelle emesse. Per contro, è valida la tesi del contribuente che dimostra la provenienza di tali somme, ed in particolare che le stesse:
a) afferiscono a prestazioni relative a periodi pregressi e conservate in cassaforte, somme che poi solo in seguito il contribuente ha deciso di versare sul conto;
b) nel complesso, la ripresa erariale non trova fondamento dato che, su base annua, gli ammontari versati risultano comunque inferiori ai compensi dichiarati.
Nel caso esaminato, l’Amministrazione notifica nel 2006 ad un medico-legale un accertamento fondato sulle movimentazioni di conto corrente inerente gli anni 2003 e 2004 tramite cui accerta maggiori compensi rispettivamente pari a euro 917 e oltre 7mila euro per il 2004. Secondo l’Amministrazione, nei periodi compresi dall’ottobre 2003 al 22 dicembre 2003 le somme versate superano le prestazioni fatturate di oltre 8mila euro. Mentre nel periodo compreso tra il 23 dicembre 2003 e 19 marzo 2004, la differenza è oltre 11mila euro. Il contribuente si oppone e sostiene che trattasi di somme relative a prestazioni professionali già fatturate ma relative a periodi pregressi conservate in cassaforte e solo in seguito versate.
Ctr Sardegna, sentenza 56/5/2018

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