Controlli e liti

FISCO E SENTENZE/Le massime di merito: studi di settore contributo unificato, Docfa

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di Ferruccio Bogetti e Filippo Cannizzaro

La mancata acquisizione dell’istanza Docfa è “atto interlocutorio” non impugnabile per carenza di interesse. Va pagato il contributo unificato anche per la “copia di cortesia” del ricorso. Decade l’accertamento Ici se non si prova la sua tempestiva notificazione. Rettifica ai ricavi del taxista se c’è incoerenza tra chilometri percorsi e consumo di carburante . Va annullato l’avviso di liquidazione del registro che è privo di motivazione. Accertamento da studio di settore nullo se non considera le giustificazioni fornite dal contribuente. L’ordinanza del giudice sana la costituzione del concessionario avvenuta dopo il 1 gennaio 2016 tramite avvocati. Sono questi gli argomenti trattati dalla rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.

La mancata acquisizione dell’istanza Docfa non è impugnabile

Non è atto impugnabile la mancata acquisizione “informatica” dell’istanza presentata tramite la procedura Docfa attraverso la quale il contribuente intende ottenere la riduzione della rendita catastale di immobili di sua proprietà. In primo luogo, l’istanza telematica prodotta tramite questa procedura è qualificabile come procedura meramente “interlocutoria”, attraverso la quale il sistema informatico, qualora riscontri incongruenze (ad esempio, errore sul saggio di infruttuosità, mancata allegazione della relazione tecnica, ecc.) “scarta” il file e non lo acquisisce. In pratica è atto non a contenuto decisorio, e il contribuente ben può recuperare la documentazione richiesta e ripresentare l’istanza poi acquisibile dal sistema informatico. In secondo luogo, anche se l’interpretazione dell’articolo 19 del codice di rito tributario, che elenca gli atti impugnabili, è di tipo estensivo, il rigetto telematico dell’istanza non fa sorgere ai sensi dell’articolo 100 del Codice di procedura civile l’interesse del contribuente all’impugnazione, perché tale atto è privo di concreti effetti ai fini dell’imposizione fiscale.
Nel caso in esame, un contribuente presenta in data 5 maggio 2016 un’istanza telematica Docfa di variazione della rendita catastale di immobili utilizzati per eventi fieristici. Il sistema informatico non recepisce l’istanza per assenza di elementi preliminari, quali l’erroneo saggio di infruttuosità e l’assenza della relazione tecnica. Il contribuente impugna il diniego ritenuto atto impugnabile, mentre l’Amministrazione resiste ed eccepisce l’improponibilità del ricorso introduttivo.

Ctr Lombardia, sentenza 512/4/18


Va pagato il contributo unificato anche per la “copia di cortesia” del ricorso

Il contribuente, che ha trasmesso il ricorso introduttivo alla parte resistente e che abbia poi anzitempo spedito a mezzo posta una “copia di cortesia” alla segreteria della Commissione tributaria provinciale, è obbligato al pagamento del contributo unificato tributario, perché tale copia viene “trattata” dalla Segreteria come un vero e proprio atto di costituzione in giudizio da parte del contribuente. Non conta poi che l’atto processuale di “cortesia” inviato alla Ctp sia privo di iscrizione a ruolo. Né rileva poi che, successivamente a distanza di diversi giorni, il contribuente abbia provveduto al pagamento del contributo unificato tributario e alla costituzione in giudizio tramite regolare deposito del ricorso introduttivo al quale la Segreteria della Commissione tributaria provinciale ha attribuito un nuovo numero di iscrizione a ruolo (Rgr).
In primo luogo, la Segreteria non ha alcuna decisione circa la qualificazione dell’atto ricevuto, deve provvedere alla sua iscrizione a ruolo se l’atto è indirizzato alla Ctp e intestato come “ricorso”, dovendo essere garantito il diritto di difesa del contribuente, anche se il plico ricevuto è privo di iscrizione a ruolo che è mero atto interno. In secondo luogo, nella proceduta giudiziaria ordinaria la cui disciplina è applicabile al rito tributario, la cosiddetta “copia di cortesia” è una figura priva di valenza giuridica.
Nel caso in esame, un contribuente impugna un avviso di accertamento. Spedisce una copia del ricorso introduttivo a mezzo posta alla Segreteria della Commissione tributaria provinciale in data 13 aprile 2016, la quale che iscrive a ruolo la causa, e l’originale alla resistente Agenzia delle Entrate in data 15 aprile 2016. Successivamente, nel maggio 2016, provvede a depositare ricorso in Ctp – cui consegue nuova iscrizione con altro RGR – ed assolve al pagamento del contributo unificato di 1.500 euro. La segreteria della Ctp con riferimento al primo ricorso ricevuto in data 13 aprile 2016 richiede il corrispondente contributo unificato ed emana il relativo avviso di irrogazione di sanzioni per omesso pagamento. Quest’ultimo viene impugnato dal ricorrente perché non dovuto ritenendo la prima copia del ricorso introduttivo spedita alla Ctp mera copia “di cortesia”.

Ctp Treviso, sentenza 152/2/18

Decade l’accertamento Ici se non si prova la sua tempestiva notificazione

E’ illegittimo l’accertamento Ici se l’Ente locale non dimostra che l’atto è stato consegnato all’Ufficio Postale entro i termini di decadenza, vale a dire entro il quinto anno successivo a quello in cui doveva essere effettuata denuncia di variazione ovvero a quello in cui il versamento avrebbe dovuto essere effettuato, così come è disposto dall’articolo 1, comma 161 della Legge 296 del 2006.
La consegna non tempestiva dell’atto, si evince, “in positivo”, dalla documentazione prodotta dal ricorrente, cioè dalla raccomandata tramite la quale l’avviso risulta essere stato consegnato all’ente postale nel gennaio del sesto anno successivo a quello in cui il versamento risulta insufficiente. Si evince “in negativo” dalla documentazione prodotta dall’Ente resistente, nello specifico: a) Parte della documentazione si riferisce a spedizioni internazionali; b) Il timbro postale attesta ricezione di una “bolgetta” di cui non si conosce il contenuto; c) L’elenco delle raccomandate non è timbrato dall’Ufficio Postale e quindi non è possibile risalire al giorno di materiale consegna; d) Non esiste alcun collegamento tra la consegna della bolgetta e l’elenco delle raccomandate; e) Assenza della sottoscrizione del funzionario dell’Ufficio Postale.
Nel caso in esame, un contribuente impugna l’atto impositivo Ici riferito all’anno 2011 tramite il quale l’Ente Locale recupera oltre 300 euro per omessa denunci. Eccepisce l’intervenuta decadenza per essere stato l’atto notificato oltre il 31 dicembre 2016. L’ente resiste producendo documentazione tramite cui tenta di controbattere alla contestazione mossa dal ricorrente, sopra descritta. Altrettanto fa il ricorrente.

Ctp Lecco, sentenza 7/1/18


Rettificabili i ricavi del taxista se c’è incoerenza tra chilometri e benzina

È valido l’accertamento analitico-induttivo notificato al tassista basato sulle numerose circostanze oggettive che dimostrano la presenza di ricavi d’impresa non dichiarati.
È infondata la tesi del contribuente secondo cui l’amministrazione non ha tenuto conto dei cosiddetti chilometri “a vuoto” relativamente alle tratte extraurbane, pari al 60% del totale, secondo cui:

a) il percorso da e verso l’aeroporto è effettuato senza cliente;

b) dai dati della società di gestione dei taxi l’attesa media di un cliente è di circa sei ore.

Relativamente alle tratte urbane, l’amministrazione non ha tenuto conto che, una volta terminata la corsa a destinazione del cliente, il contribuente si deve recare presso la stazione più vicina per procacciarsi altri clienti, e anche questi chilometri sono a loro volta percorsi a vuoto.
È invece fondata la ricostruzione dei ricavi dell’Amministrazione, secondo cui:

a) a differenza di quanto sostenuto dal contribuente, l’Amministrazione ha ragionevolmente tenuto conto dei chilometri “a vuoto” percorsi individuati dal tragitto tra luogo di residenza del contribuente e stazione presso cui presta servizio, e che nel corso del giudizio di primo grado il giudice ha già riconosciuto un abbattimento del quaranta per cento dei ricavi accertati;

b) la presenza di ricavi non dichiarati si evince anche dal costo del carburante dichiarato che non è congruo rispetto ai chilometri percorsi. Ad avvalorare tale tesi, l’Amministrazione si è avvalsa di dati estratti dalle riviste specializzate di settore prendendo a riferimento proprio l’autovettura utilizzata dal contribuente.

Nel caso in esame, l’amministrazione accerta in via analitico- induttiva i ricavi di un tassista per il periodo d’imposta 2009. Rettifica i ricavi, e, per l’effetto, rettifica il reddito originariamente dichiarato in circa 11mila euro ad oltre 30mila euro. Il contribuente si oppone e presenta ricorso accolto parzialmente dal giudice di primo grado che applica riduzione dei ricavi accertati del quaranta per cento. La sentenza di primo grado non soddisfa il contribuente, che l’appella nel 2017.

Ctr Lombardia, sentenza 878/24/18


Va annullato l’avviso di liquidazione del registro che è privo di motivazione

Va sempre motivato l’avviso di liquidazione attraverso il quale l’amministrazione ricupera la maggiore imposta di registro nei confronti del contribuente. In primo luogo, la motivazione ha la funzione di assicurare il diritto di difesa del contribuente e deve pertanto indicare i presupposti di fatto e le ragioni di diritto poste a base della pretesa, pena la violazione dell’articolo 24 della Costituzione nonché dell’articolo 7 della Legge 212 del 2000 (“Statuto del Contribuente”). In secondo luogo, è vero che la motivazione inerente l’imposta di registro è sufficiente anche se si limita ad indicare i criteri astratti in base ai quali è stata calcolata l’imposta pretesa. Però la mancata esplicitazione della norma violata, dell’aliquota applicata, della natura delle sanzioni e degli interessi pretesi, non potendo il contribuente esercitare il proprio diritto di difesa.
Nel caso in esame, una banca stipula con una Srl due contratti. Il primo, è inerente l’apertura di conto corrente, e l’altro di finanziamento garantito da ipoteca per massimo di 1milione e 500mila euro. La Srl non onora le rate del mutuo e la Banca si rivolge al Tribunale per recuperare le somme ed ottiene decreto ingiuntivo emesso nel 2016 per oltre 996mila euro. L’Amministrazione, sulla scorta di tale decreto, ricupera imposta di registro per oltre 2mila euro comprensivo di sanzioni e interessi, atto contestato dalla Banca per difetto di motivazione.

Ctp Sondrio, sentenza 17/2/18


Accertamento da studio di settore nullo se ignora le giustificazioni

In caso di accertamento basato sullo studio di settore, l’Amministrazione deve motivare nell’atto impositivo le ragioni di rigetto delle giustificazioni rese dal contribuente, esercente l’attività di commercio di prodotti medicali, nella fase del contraddittorio. E l’avviso è illegittimo anche nel merito perché deve tener conto delle particolari condizioni economiche, le cosiddette condizioni di “marginalità”, in cui opera la contribuente.

È errata la tesi dell’Amministrazione secondo cui:

a) La circostanza, che il contribuente abbia venduto i prodotti solo nei confronti di enti pubblici Asl, non dimostra il mancato svolgimento di vendita di prodotti verso altri soggetti presumibilmente venduti “in nero”;

b) Il contribuente ha un basso margine di profitto sulle vendite;

c) Risultano esserci anomalie nella gestione del magazzino, il quale sostanzialmente cresce di anno in anno, nonostante la bassa marginalità del profitto;

d) Il contribuente ha acquistato tramite mutuo immobile da adibire a deposito merci e uffici.

È invece fondata la tesi del contribuente.

In diritto. L’atto è nullo per difetto di motivazione, perché l’Amministrazione non ha preso posizione circa le numerose giustificazioni fornite dal contribuente in sede di contraddittorio preventivo e in particolare:

a) gli unici clienti sono Asl, ossia aziende ospedaliere e cliniche convenzionate, e i prodotti venduti sono rappresentati per l’80% da presidi medico-chirurgici, prodotti codificati con codice e numero di matricola obbligatori per assicurarne la “ tracciabilità ”, ragion per cui è impossibile ipotizzare ricavi in nero;

b) la contribuente ha presentato un’analisi statistica da cui risulta che i margini di ricarico si attestano al di sotto del 20% per i prodotti di largo consumo e al di sotto del 60% per i restanti, a fronte di un margine di ricarico sostenuto dall’Amministrazione pari a quasi il 68%;

c) l’immobile è stato acquistato tramite l’accensione mutuo nonché all’impiego di incassi derivanti dalla vendite di una precedente scorta di magazzino, e che il contratto con la Asl mandante imponeva al contribuente di dotarsi di ampio magazzino, indipendentemente dalle vendite mentre la gara d’appalto permetteva, comunque, alla azienda ospedaliera cliente di non essere obbligata a comperare tutto il materiale in magazzino.

Nel merito.

L’Amministrazione ha esclusivamente ipotizzato l’esistenza di vendite in nero, inverosimile nel caso di specie, perché:

a) la maggior parte di prodotti medicali venduti è destinata a sale operatorie e nella zona risultano ubicate all’interno di Asl e presidi ospedalieri, i quali, anche se privati, sono tutti convenzionati con impossibilità di effettuare compravendite “in nero”;

b) la contribuente ha dovuto abbassare necessariamente il proprio margine di ricarico al fine di poter vincere le gare di appalto;

c) la tardività dei pagamenti dei clienti ha inoltre esposto il contribuente nei confronti degli istituti di credito con conseguente incremento degli interessi bancari e quindi di costi, che inevitabilmente hanno ridotto il margine di guadagno del contribuente.

Nel caso in esame, l’Amministrazione, sulla scorta dei dati e quindi delle incongruenze tra ricavi dichiarati e quelli risultanti dallo studio di settore, instaura il contraddittorio con una Srl esercente l’attività di commercio di prodotti medicali relativa all’anno 2004. In detta sede, la contribuente spiega che vende i propri prodotti esclusivamente nei confronti di ASL e cliniche private convenzionate, ma l’Amministrazione emette comunque un avviso tramite il quale cui accerta reddito imponibile di oltre 200mila euro a fronte reddito dichiarato di quasi 10mila euro, base imponibile Irap di oltre 380mila euro a fronte di quella dichiarata di oltre 184mila euro, e volume d’affari Iva di oltre 1milione e 400mila euro rispetto al volume dichiarato di oltre 1milione e 200mila euro. La contribuente si oppone e impugna l’atto per difetto di motivazione e errata ricostruzione dei maggiori ricavi accertati.

• Ctr Sardegna, sentenza 121/1/18


L’ordinanza del giudice sana la costituzione del concessionario

Dal 1° gennaio 2016 l’agente della riscossione deve stare in giudizio solo tramite i propri funzionari dipendenti appositamente delegati, ovvero mediante la struttura territorialmente sovraordinata, senza possibilità di avvalersi di avvocati esterni. E la costituzione in giudizio dell’ente è inammissibile se il concessionario, a seguito di ordinanza tramite cui il giudice gli intima di costituirsi direttamente, non rispetta il termine di natura perentoria ivi indicato.
Dal punto di vista della rappresentanza, l’articolo 11 del diritto processuale tributario dispone che l’ente, che si occupa della riscossione, sta in giudizio tramite il proprio personale appositamente delegato ovvero tramite la struttura sovraordinata territorialmente competente, così come è stato modificato dal comma 1, lettera d), dell’articolo 9 del Dlgs 156 del 2015, e ciò con effetto dal 1° gennaio 2016. E il dato verbale della norma è da intendersi come uno specifico dovere che deve seguire il concessionario, il quale non può farsi rappresentare da soggetto esterno.
Né a diverse conclusioni si giunge prendendo a riferimento l’articolo 12 del codice di rito tributario, il quale disciplina l’assistenza tecnica – intesa quale attività vera e propria di difesa processuale della parte assistita, ovvero di consigliare la parte circa le strategie processuali ritenute più opportune e/o di perorarne le ragioni – e non la rappresentanza.
Tuttavia, qualora l’ente di riscossione si costituisca tramite avvocato esterno, sussiste nullità della costituzione in giudizio ed in tal caso il giudice applica l’articolo 182 del Codice processuale civile, applicabile al rito tributario in forza del richiamo previsto dall’articolo 1, comma 2 del codice di rito tributario. Tale norma stabilisce che il giudice, d’ufficio, deve ordinare alla parte, costituitasi irregolarmente, di munirsi di valida rappresentanza entro termine perentorio, il quale se non rispettato determina l’inammissibilità della costituzione in giudizio della parte resistente.
Nel primo caso in esame (Ctp Napoli), il Concessionario notifica nel novembre 2015 una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria ad un contribuente sulla scorta delle iscrizioni a ruolo non pagate per non essere state le cartelle mai notificate. Il contribuente impugna l’atto con ricorso introduttivo spedito nel gennaio 2016. Si costituisce nel marzo 2016 il Concessionario con avvocato esterno, e deposita documentazione attestante la notifica delle cartelle poste a base della comunicazione preventiva d’ipoteca. La legittimazione processuale è contestata dal contribuente con memoria di replica nel settembre 2016, secondo cui il Concessionario può stare in giudizio solo con proprio dipendente. La Ctp ordina al Concessionario di costituirsi tramite proprio dipendente entro trenta giorni decorrenti dalla data di emissione della ordinanza del 27 ottobre 2016 e rinvia l’udienza. Il Concessionario si costituisce ma solamente nel febbraio 2017.
Nel secondo caso in esame (Ctr Liguria), invece, a seguito della costituzione in giudizio dell’ente di riscossione tramite avvocato esterno, il giudice estromette giudizio il Concessionario senza provvedere ad emettere ordinanza che consentisse a quest’ultimo di “sanare” la propria costituzione.

Ctp Napoli, sentenza 1105/7/17
Ctr Liguria, sentenza 1745/3/17

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