I temi di NT+Qui Europa

Frodi Iva, no alla detrazione dell’imposta se il venditore ha dissimulato la propria identità

Per la Corte Ue il diritto alla detrazione da parte del cessionario può essere negato dall’Amministrazione se il cedente da cui si è acquistato un bene ha evaso l’Iva dissimulando la propria identità

di Giorgio Emanuele Degani

La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza resa nella causa C-596/21 del 24 novembre 2022, ha statuito che il diritto alla detrazione Iva da parte del cessionario può essere negato dall’Amministrazione finanziaria nel caso di interposizione soggettiva, ossia se il soggetto ha acquistato un bene presso un venditore che, dissimulando la propria identità, ha evaso l’Iva.

Il caso riguarda un imprenditore tedesco che acquistava per la propria attività un autoveicolo usato da un concessionario che, dissimulando la propria identità, ha evaso il versamento dell’Iva dovuta sull’acquisto. Ed infatti, il venditore – cedente era un soggetto diverso da quello reale.

L’interponente procedeva così a fatturare l’importo del veicolo oltre all’Iva all’interposto e quest’ultimo fatturava gli importi maggiorati comprensivi dell’Iva al cessionario. Il soggetto interposto non versava l’Iva incassata dall’acquirente; nei confronti di quest’ultimo l’Amministrazione finanziaria tedesca ha negato il diritto alla detrazione dell’Iva, ritenendo che il cessionario sapeva o dovesse sapere della frode posta in essere dal venditore.

Innanzitutto, occorre rilevare che il diritto alla detrazione costituisce parte integrante del meccanismo applicativo dell’Iva e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni, salvo che ricorrano casi eccezionali. Tra questi possono essere ricomprese le ipotesi in cui sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che il diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente (v. CGUE causa C-108/20; causa C-285/11).

Ecco che l’eccezionalità del diniego al diritto della detrazione assume primaria rilevanza sotto il profilo probatorio: ove l’evasione d’imposta venga commessa dal cedente o da soggetti terzi nell’ambito di una catena di operazioni rilevanti ai fini Iva, l’Amministrazione finanziaria, oltre a dover dimostrare la sussistenza dell’evasione sotto un profilo oggettivo, deve altresì fornire la prova che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto avrebbe partecipato ad un’evasione dell’Iva, perpetratta dal fornitore o da altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di tali cessioni o prestazioni.

La verifica della sussistenza dell’elemento psicologico spetta alle Autorità nazionali, le quali devono verificare che non vi sia alcun automatismo circa il collegamento tra il soggetto passivo e la frode, ma che vi sia una prova oggettiva circa la conoscenza o la conoscibilità di aver partecipato a una frode Iva.

Nel caso di specie, la corte di Giustizia ha confermato il predetto orientamente e ha avuto modo anche di precisare quale sia l’importo dell’Iva indetraibile in capo all’acquirente: secondo i giudici il diniego del diritto alla detrazione non è limitato alla sola parte delle somme versate a titolo di Iva corrispondenti all’importo oggetto della frode, ma opera per intero. Ed infatti, poiché l’ignoranza dell’esistenza di un’evasione nell’ambito di un’operazione che da diritto a detrazione costituisce un presupposto sostanziale implicito del diritto a detrazione, al soggetto passivo che non soddisfa tale presupposto deve essere negato integralmente l’esercizio del diritto a detrazione.

Tale conclusione è confermata dagli obiettivi perseguiti e dall’obbligo gravante sulle autorità e sui giudici nazionali di negare il diritto a detrazione quando il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione era parte di una frode. Del resto, la Corte di Giustizia (causa C-281/20) ha già avuto occasione di dichiarare che il fatto che il soggetto passivo abbia acquistato beni o servizi quando sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto di tali beni o servizi, partecipava a un’operazione che si iscriveva in un’evasione commessa a monte è sufficiente per ritenere che il soggetto passivo in parola abbia partecipato a tale evasione e per privarlo del beneficio del diritto a detrazione, senza che sia nemmeno necessario dimostrare l’esistenza di un rischio di perdita di gettito fiscale.

In conclusione, la Corte di Giustizia ha correttamente valorizzato la fattispecie, negando il diritto alla detrazione dell’Iva in quanto il cessionario ben sapeva che il cedente era il soggetto interposto, che ha dissimulato la propria identità.