Frodi sugli sconti fiscali per l’edilizia: coinvolti professionisti e società
Girandola di fatture inesistenti tra aziende e crediti fittizi ceduti alle Entrate dai consulenti
Un’anomala «circolarità» di fatture e crediti d’imposta, che passano freneticamente di società in società, senza un plausibile motivo se non quello di celarne l’origine illecita.
Per raccontare la grande frode sui bonus edilizi – già stimata in oltre 4 miliardi di euro secondo quanto riferito dal premier Mario Draghi prima di Natale – non si può che partire dalla fine, cioè da quella rete insospettabile di persone fisiche assoldate da alcune imprese, soprattutto immobiliari, per un duplice scopo: «schermare» i sistemi di falsa fatturazione per lavori edili mai realizzati e «monetizzare» i relativi crediti fiscali fittizi con banche, assicurazioni o, come già accaduto, con Poste Italiane. Acquirenti in buona fede che, per legge, non devono restituire i crediti d’imposta acquisiti, a meno che non sia provato il loro concorso nella violazione.
Il Sole 24 Ore del Lunedì ha potuto ricostruire uno degli schemi prevalenti di frode, consultando documentazioni dell’agenzia delle Entrate e della Guardia di finanza allegate a procedimenti giudiziari per illeciti su bonus facciate, 110%, ecobonus, bonus ristrutturazione e sismabonus.
La torta miliardaria
La torta fa gola ai contribuenti onesti, ma anche ai truffatori: basti considerare che – solo in base ai dati Enea sul super-ecobonus – al 31 dicembre scorso risultano circa 96mila interventi, con 12,3 miliardi di euro di detrazioni maturate per lavori conclusi e una previsione di 17,8 miliardi di detrazioni a fine lavori. E il superbonus, comunque, ha sempre richiesto asseverazioni e visti di conformità per la cessione. Due adempimenti introdotti dallo scorso 12 novembre dal Dl antifrodi anche per le detrazioni ordinarie, per contrastare «l’utilizzo fraudolento del meccanismo agevolativo» registrato nelle indagini, come si legge in una informativa.
Il III Reparto operazioni del Comando generale della Guardia di finanza, guidato dal generale Giuseppe Arbore, ha alzato il livello dell’accertamento, fornendo ai nuclei territoriali due nuove banche dati per implementare i controlli sul fronte bonus, per individuare gli indizi delle frodi, a partire dalle false fatturazioni.
Dalle fatture false ai crediti
All’origine dello schema ricostruito ci sono due società immobiliari, A e B (si veda il grafico in pagina). Nei casi individuati si tratta, perlopiù, di immobiliari proprietarie di immobili di basso valore catastale. Entrambe risultano indirettamente legate a una serie di altre piccole società, definibili «satellite»: presentano in parte gli stessi soci o gli stessi professionisti (nei casi concreti esaminati si tratta di commercialisti).
A e B svolgono reciproci lavori edilizi fittizi per milioni di euro: inizia un vorticoso giro di fatture false, poi inviate a un professionista che si occupa di inserire i relativi crediti di imposta nella piattaforma web delle Entrate. Secondo gli inquirenti, la comunicazione di crediti fittizi all’Agenzia ha lo stesso valore illecito di una fattura falsa, per questo anche al professionista – per la prima volta – è contestata la violazione dell’articolo 8 del Dlgs 74/2000 (si veda l’analisi nell’articolo in basso).
Ma torniamo allo schema. I crediti fiscali maturati dopo la registrazione nella piattaforma web delle Entrate, tornano ad A e B che iniziano a cederseli tra loro e verso le società «satellite». Queste ultime, in particolare, avviano ulteriori cessioni e acquisti in una «circolarità» priva di apparente senso logico, con l’evidente scopo di allontanare i sospetti.
Il ruolo delle persone fisiche
Il passaggio finale, ma fondamentale, è rappresentato dalle persone fisiche: il ruolo è quello di «schermare» l’operazione fraudolenta delle società.
Il Nucleo di polizia economico-finanziaria della Gdf di Roma, in particolare, ha scoperto che interi nuclei familiari sono assoldati per acquistare e poi «monetizzare» i crediti d’imposta generati dalle immobiliari. I nomi si ripetono, così come le operazioni. In questa fase torna il ruolo del professionista, il quale apre per tutti i soggetti delle partita Iva con codice Ateco «Procacciatori d’affari di vari prodotti senza prevalenza».
C’è il caso di Giuliana, 23 anni, studentessa senza reddito: nel 2021 apre la partita Iva e inizia ad acquistare crediti per 750mila euro dalle società A e B e dalle «satellite». Poi c’è Giovanna, 48 anni, non dichiara né versa nulla dal 2016. Nel 2021, aperta la partita Iva, compra crediti per 750mila euro dalle stesse imprese. Con lei ci sono i familiari, in tutto cinque persone, che ne comprano altri per 2,4 milioni di euro. Tutti, poi, «monetizzano» con Poste Italiane e, solo le società, con Cassa depositi e prestiti, per questo vittime di truffa.
Riciclaggio mafioso
Acquisto e cessione di crediti, anche regolari, rischiano però di incentivare anche forme di riciclaggio di denaro sporco.
Fonti giudiziarie rivelano un interessamento di società riconducibili a personaggi legati a cosche di camorra e ’ndrangheta, per acquistare crediti di imposta con soldi sporchi, così da riciclarli con la successiva «monetizzazione». Il fenomeno sarebbe al centro di alcuni procedimenti giudiziari in indagine preliminare.
LA CONTESTAZIONE
Il rischio per i professionisti
Al professionista è contestato, per la prima volta, il reato di cui all’articolo 8 del Dlgs 74/2000 non per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti relative a lavori edili mai effettuati, ma per la comunicazione telematica all’agenzia delle Entrate per la cessione di crediti fittizi. Secondo l’interpretazione, infatti, l’articolo 8 accomuna alla fattura ogni altro documento che concorra ad attestare falsamente l’esistenza di una operazione fittizia