Imposte

Google, niente stabile organizzazione in Francia

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di Alberto Sandalo e Antonio Tomassini

Il modello di business implementato in Francia da Google non integrerebbe i requisiti per la sussistenza di una stabile organizzazione sul territorio francese, con conseguente rigetto delle pretese impositive (più di 1 miliardo sull’arco 2005-2010) del fisco d’oltralpe. Questa la conclusione di una serie di sentenze depositate ieri dal Tribunale amministrativo di Parigi . L’oggetto della contestazione riguarda principalmente l’attività di prestazione dei servizi pubblicitari “Google AdWords”, che consentono di associare l’annuncio alle parole chiave inserite dall’utente internet all’interno del motore di ricerca, in modo tale che l’impresa cliente compaia al vertice della lista dei risultati. Lo schema prevede che il relativo contratto venga formalmente stipulato tra l’impresa francese cliente e la società irlandese Google Ireland Limited. È quindi quest’ultima a percepire i ricavi derivanti dal servizio AdWords. L’attività della consociata francese Google France Sàrl è d’altra parte limitata a fornire servizi di assistenza ai clienti.

Secondo il fisco Google Ireland avrebbe agito in Francia per il tramite di una stabile organizzazione “personale” occulta identificata in Google France, che avrebbe agito quale “dependent agent” per conto della consociata d’oltremanica. L’attività dei dipendenti di Google France sarebbe consistita, nei fatti, nella sostanziale conclusione dei contratti pubblicitari per conto della consociata irlandese.

La tesi viene rigettata dal Tribunale amministrativo, che nelle motivazioni fa leva su un dato fattuale. L’attività di concreto inserimento del cliente all’interno dei risultati della ricerca online (“mise en ligne”) viene tecnicamente posta in essere da Google Ireland. Tale operazione, spiega il Tribunale, assurge a condizione essenziale per l’efficacia del contratto stipulato tra Google Ireland e il cliente. Tanto basta per concludere che l’attività è realizzata in Irlanda,dove sono ubicati i server.

Èverosimile che il contenzioso continuerà e che quindi il fisco francese continuerà a insistere nelle sue pretese. Ciò che è certo è che il caso francese dimostra ancora una volta l’inadeguatezza (rectius l’arretratezza) delle regole fiscali rispetto alla digital economy. Il concetto di stabile organizzazione, sia a livello convenzionale che di legislazioni locali, è ancorato a concetti quali la presenza di mezzi umani e tecnici che nei business immateriali sono sovente marginali o assenti, come rilevano i giudici parigini. Nel caso di Google, che sovente viene sbrigativamente accumunata ad altre società del settore tecnologico, che tuttavia hanno dei radicamenti più significativi nei vari Paesi, ciò è particolarmente vero, visto che conduce un business che «si vende da sé».

Questa sentenza fa emergere nuovamente il tema generale della tassazione della digital economy, approcciato dalle amministrazioni finanziarie e dalle stesse multinazionali in modo diverso a seconda dei Paesi e di fattori contingenti (Google è un caso emblematico, un accordo siglato in Italia e un contenzioso in essere in Francia).

La questione di fondo resta che tali problematiche non possono trovare soluzione in risposte unilaterali provenienti dai singoli Stati. Ecco perché rischia di non essere sufficiente la speciale procedura di contraddittorio preventivo volto alla autodenuncia circa la presenza di una stabile organizzazione occulta in Italia introdotta dalla manovrina, che non è certo una web tax ma al più una disclosure.

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