I titoli esteri deducibili per l’emittente rientrano tra gli interessi attivi
L’articolo 1 del decreto legislativo di recepimento delle direttive Atad (decreto Atad), approvato il 28 novembre dal Consiglio dei ministri, riformula i criteri di individuazione degli oneri e proventi finanziari rilevanti ai fini dell’articolo 96 del Tuir. In particolare, pur in assenza di una corrispondente previsione nelle direttive Atad, assumono rilievo anche quei proventi e oneri che, seppur rivenienti da strumenti finanziari qualificabili come rappresentativi di capitale in base ai principi contabili, sono imponibili per il percettore e, corrispondentemente, deducibili per l’erogante.
Come esempio, la relazione illustrativa richiama i titoli partecipativi esteri i cui proventi siano deducibili per il soggetto non residente e, dunque, imponibili in capo al percipiente residente in virtù dell’articolo 44, comma 2, lettera a) del Tuir. Tali sarebbero, secondo la relazione, «i proventi derivanti da Juros Sobre o Capital Pròprio (Jcp) di diritto brasiliano».
I Jcp non rappresentano, tuttavia, la remunerazione di uno specifico strumento finanziario brasiliano, bensì costituiscono uno speciale tipo di dividendo ritraibile dal possesso di ordinarie azioni emesse da società brasiliane. Tali società possono decidere di corrispondere ai propri azionisti un provento calcolato applicando un tasso di rendimento nozionale sul proprio equity (i Jcp appunto), che, pur qualificandosi come dividendo, è deducibile per la società erogante. Perciò, una distribuzione di utili brasiliani può avere una duplice natura: i Jcp (deducibili) e il restante importo del dividendo (indeducibile).
Questo carattere “ibrido” ha creato dubbi . Taluni contribuenti hanno integralmente assoggettato a tassazione i Jcp alla luce dell’articolo 44, comma 2, lettera a) del Tuir, ritenendoli al contempo assimilabili agli interessi attivi ai fini dell’articolo 96 del Tuir, pur in assenza di un rapporto avente causa finanziaria (si veda Ctp Milano 2782/2017), mentre altri hanno ritenuto spettante l’esenzione integrale prevista dall’articolo 23, comma 3 della Convenzione Italia-Brasile per i dividendi su partecipazioni pari almeno al 25% del capitale.
Entrambe le impostazioni hanno generato controversie. Una soluzione intermedia consisteva nell’applicazione dell’esenzione convenzionale al solo dividendo indeducibile, in virtù degli articoli 10 e 23 della Convenzione in quanto più favorevole della norma interna, assoggettando invece a tassazione la quota Jcp (con riconoscimento del credito d’imposta estero, ivi incluso il matching credit di cui all’articolo 23, comma 4, della Convenzione).
L’applicazione delle disposizioni convenzionali avrebbe potuto tuttavia confliggere con la nozione di provento finanziario emergente dal testo originario del decreto Atad, che prevedeva la rilevanza come interessi attivi ai fini dell’articolo 96 Tuir solo in caso di “integrale” imponibilità in capo al percettore, mentre nel caso delle azioni brasiliane, a fronte di uno strumento unitario, solo una parte della remunerazione (Jcp) sarebbe stata imponibile in Italia.
In realtà, una lettura della norma interna coerente con la norma convenzionale avrebbe dovuto comunque portare a concludere che il solo dividendo effettivamente tassato in Italia (ossia i Jcp) configura un interesse attivo in base all’articolo 96 del Tuir (in linea con quanto indicato dalla stessa relazione illustrativa per le obbligazioni partecipative). Tale impostazione è ora suffragata dal nuovo testo del decreto Atad, ove è stata eliminata la parola “integralmente” dal comma 3 dell’articolo 96 del Tuir, a seguito di una raccomandazione delle commissioni parlamentari.
Rimuovendo un possibile dubbio scaturente da tale modifica, la relazione chiarisce ora che non rileva come interesse attivo il 5% imponibile della quota-parte di remunerazione che gode del regime di esclusione previsto dall’articolo 89 del Tuir e che non è deducibile in capo all’emittente. Tale interpretazione è coerente con la qualificazione del 5% imponibile quale recupero forfettario a tassazione dei costi relativi alle partecipazioni. La precisazione ora contenuta nella relazione illustrativa dovrebbe altresì confermare l’esclusione dal novero degli interessi attivi dei dividendi esteri che sono imponibili in Italia non in quanto deducibili nello Stato dell’erogante bensì in quanto provenienti da regimi fiscali privilegiati; seppure siano proventi imponibili derivanti da strumenti contabilizzati come equity e dunque potenzialmente rientranti, da un punto di vista letterale, nel comma 3 dell’articolo 96 del Tuir, i dividendi “black” non hanno quella natura “ibrida” che dovrebbe connotare gli strumenti finanziari contemplati da tale disposizione, che si fonda su una linking rule con la deducibilità per l’erogante. E in questo senso non dovrebbero rilevare nemmeno i proventi da Oicr rilevati come strumenti di equity nel bilancio.
Al di là dell’introduzione di questa norma (che dovrebbe avere valenza innovativa, poiché il vigente articolo 96, comma 3, Tuir deroga espressamente alla causa finanziaria solo per gli interessi da crediti commerciali), sarebbe opportuno un più generale ripensamento dei criteri di qualificazione tributaria dei titoli partecipativi esteri. L’articolo 44, comma 2, lettera a) del Tuir comporta, infatti, la riqualificazione integrale come titolo atipico di un’azione emessa da una società estera, per effetto della deducibilità anche solo parziale della remunerazione nello Stato di residenza dell’emittente. Tale risultato – parzialmente corretto con l’introduzione del comma 3-ter all’articolo 89 del Tuir da parte della legge 122/2016 per i soli rapporti societari con i requisiti del cosiddetto regime “madre figlia” e comunque soltanto ai fini del regime dei dividendi e non anche delle plusvalenze da realizzo – risulta in contrasto con quanto disposto in materia di strumenti finanziari ibridi dall’articolo 8, comma 2, lettera b), dello stesso schema di decreto legislativo.