Imposte

Il 29 luglio spartiacque per l’invio tardivo

Diverse sono le opzioni se non si è presentata la dichiarazione Iva entro il 30 aprile

di Matteo Balzanelli e Massimo Sirri

Diverse sono le opzioni se non si è presentata la dichiarazione Iva entro il 30 aprile. Il primo traguardo è il 29 luglio. Il modello presentato entro 90 giorni è valido, applicandosi la sanzione fissa per il ritardo, oltre a quelle per l’eventuale omesso versamento. Dopo tale termine, l’adempimento è omesso.

Tuttavia, se si presenta la dichiarazione entro la scadenza di quella successiva e non sono iniziati controlli fiscali, la sanzione è ridotta alla metà: anziché dal 120 al 240, la pena va dal 60 al 120 per cento dell’imposta dovuta, col minimo di 200 euro e possibili benefici sul fronte penale.

E non è tutto. La sanzione proporzionale per l’omissione si misura infatti sull’imposta dovuta. Pertanto, se l’Iva è stata interamente versata “a qualsiasi titolo” (circolare 54/E/2002), dunque anche a seguito di ravvedimento operoso, la sanzione a regime è fissa e va da 250 a 2 mila euro, ulteriormente ridotta – da 150 a mille euro – se, appunto, si presenta il modello entro il termine per l’invio della dichiarazione relativa al 2021.

In materia di omessa presentazione della dichiarazione annuale Iva, altri profili vengono comunque in rilievo. Un primo aspetto attiene al caso di una dichiarazione omessa a tutti gli effetti rilevata in sede di controllo. In tale ipotesi, se emerge che risulta un’imposta dovuta, non v’è dubbio che saranno applicate le sanzioni proporzionali previste dall'articolo 5, Dlgs 471/97 (sopra indicate).

Il problema è se a tali penalità si sommino anche quelle per i versamenti che non sono stati eseguiti alle rispettive scadenze. Sul punto, tenuto conto del recente orientamento della giurisprudenza della Cassazione (sentenza n. 27963/2020), esposto con riguardo a un caso d'infedeltà dichiarativa, se ne dovrebbe dedurre il principio, applicabile anche alla diversa ipotesi della dichiarazione omessa, in base al quale l’applicazione della sanzione più grave (quella prevista per la dichiarazione infedele di cui al giudizio) sia in grado di “assorbire” la penalità (in via ordinaria, del 30 per cento) del mancato versamento. Anzi, per meglio dire, tale ultima sanzione non sarebbe applicabile in quanto riferita al caso di tributi “dichiarati”, ma non versati. Il che, non può evidentemente essere se la dichiarazione non è presentata o se è infedele.

Grande attenzione va altresì posta al caso in cui dalla dichiarazione omessa emerga un credito d'imposta. Qui, la più recente posizione della Corte di cassazione non pare favorevole alle ragioni del contribuente. La sentenza n. 9091 del primo aprile scorso, infatti, pare invertire la rotta rispetto al principio della riportabilità a nuovo del credito derivante da una dichiarazione omessa (fissato dalle sezioni unite della Cassazione con la sentenza n. 17757/2016), nel presupposto che verrebbe in tal modo a mancare il nesso di continuità temporale fra periodi d'imposta. In queste situazioni, ancorché sia riconosciuta l'esistenza del credito, resterebbero però dovuti gli interessi e anche le sanzioni (30% ex art. 13, Dlgs n. 471/97) conseguenti all'indebita compensazione eventualmente eseguita con un credito che, seppur esistente, sarebbe però non spettante.

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