Il conferimento per trasformare la natura dell’immobile è abusivo
È abusivo il conferimento d'azienda finalizzato solo a «trasformare» l'immobile strumentale per destinazione in immobile strumentale per natura, al fine di far divenire assegnabile ai soci l'immobile stesso.
È questa la conclusione a cui giunge l'agenzia delle Entrate attraverso la risoluzione n. 99/E del 27 luglio 2017, che analizza una operazione posta in essere da una Snc che, avendo un immobile strumentale in cui esercita la propria attività, ossia un immobile strumentale per destinazione - escluso, quindi, dalla norma agevolativa che permette di assegnare o cedere ai soci, tra gli altri, gli immobili strumentali per natura - intendeva effettuare un conferimento dell'azienda, escluso naturalmente l'immobile, in una nuova società in nome collettivo, a cui la società conferente avrebbe dato in locazione l'immobile stesso.
Per la conferente, dunque, l'immobile sarebbe divenuto strumentale per natura, in quanto utilizzato dalla New.co. conferitaria, e avrebbe potuto assegnarlo ai soci. La società conferente sarebbe stata poi sciolta dopo aver assegnato le quote della conferitaria ai soci stessi. L'operazione è stata giudicata abusiva dall'agenzia delle Entrate per i motivi che di seguito si sintetizzano.
Per quanto concerne l'indebito risparmio d'imposta, il conferimento d'azienda, la successiva locazione dell'immobile e la liquidazione della conferente, appaiono operazioni «funzionali esclusivamente a far rientrare il bene immobile tra quelli agevolabili, con conseguente tassazione della plusvalenza in capo alla società assai inferiore rispetto all'imposizione ordinaria».
Sul fronte, invece, dell'assenza di sostanza economica, l'operazione descritta comporterebbe il realizzarsi di una operazione che, come letteralmente descritto dalla risoluzione, «assume il carattere della circolarità». Il percorso seguito, infatti, conduce a un risultato finale che viene ritenuto nella sostanza identico al punto di partenza, in termini di utilizzo del bene nella medesima attività d'impresa, non potendosi ricondurre l'assegnazione del bene ai soci a una sostanziale estromissione del bene stesso dal regime d'impresa.
Infine, sul fronte dell'essenzialità del conseguimento di un vantaggio fiscale, viene osservato che l'insieme delle operazioni descritte dal contribuente, non è diretta al «soddisfacimento di un interesse economico diverso da quello del perseguimento di un vantaggio fiscale». Infatti, evidenzia sempre l'agenzia delle Entrate, nell'operazione in esame non si ravvede altro «vantaggio» se non quello «rappresentato complessivamente dal beneficiare di un'imposta sostitutiva inferiore rispetto a quella ordinariamente prevista nei casi di assegnazione di beni».
Una volta appurato il soddisfacimento delle tre condizioni indicate dalla norma contenuta nell'art. 10-bis della legge 212/2000, è necessario verificare se le operazioni poste in essere siano giustificate «da valide ragioni extrafiscali non marginali», anche di ordine organizzativo o gestionale, che possono rispondere a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa o dell'attività professionale.
Nella fattispecie oggetto di valutazione, ancorché il contribuente istante affermi che l'operazione troverebbe giustificazione nella circostanza che «entrambi i soci sono vicini alla pensione e nel caso in cui si prospetti la possibilità di vendere l'immobile vorrebbero cogliere l'occasione», l'Agenzia ritiene che si tratti, in buona sostanza, di un puro interesse personale a un indebito risparmio d'imposta.
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