Contraddittorio senza obbligo ma a valenza differenziata
Dal 1° luglio scorso scatta solo l’invito obbligatorio all’adesione
Partiamo da un dato per sgombrare il campo dagli equivoci e contribuire a fare chiarezza. Con l’articolo 4-octies del decreto legge 34/2019 il legislatore non ha introdotto affatto l’obbligo del contraddittorio a partire dagli accertamenti dal 1° luglio 2020, ma ha solo integrato la disciplina di cui al decreto legislativo 218/97 con la previsione dell’«invito obbligatorio all’adesione» (articolo 5-ter); norma che, quindi, a discapito dell’auspicabile previsione dell’inderogabilità del contraddittorio nell’ambito dei procedimenti tributari (tutti), si limita a prevedere l’obbligo degli Uffici di invitare il contribuente ad aderire nella fase successiva e non genetica della pretesa tributaria.
Dal 1° luglio 2020 saremo, quindi, in presenza di un contraddittorio «a valenza differenziata», ovvero di un contraddittorio:
pieno – da attivarsi, a pena di nullità, nei casi di accessi, ispezioni e verifiche in loco che si concludono con la consegna del pvc; nullità che, secondo la più recente giurisprudenza (e prassi) andrebbe limitata ai casi in cui l'accertamento è ante tempus, ovvero emanato prima dei 60 giorni dal pvc;
pieno – nella fase genetica della pretesa – ma limitato ai (pochi) casi in cui ne resta prevista la sua inderogabilità, a pena di nullità, secondo la giurisprudenza (elusione/abuso, parametri di tipo sintetico e studi di settore);
depotenziato (e derubricato) alla fase successiva a quella genetica, dopo che l’Ufficio ha formato la pretesa sulla base dei dati in suo possesso, in tutti (e più numerosi) casi di verifiche “a tavolino” e circoscritto all'accertamento con adesione delle imposte dirette e Iva;
escluso, per gli atti impositivi diversi dagli avvisi di accertamento per i quali non si applica il decreto 218/97 (capo II), che per gli avvisi di accertamento parziale, oltre che nei casi di motivata urgenza o fondato percolo per la riscossione.
Tre brevi osservazioni al riguardo. La prima: ciò che è diventata obbligatoria è solo la fase dell’accertamento con adesione per i principali tributi (imposte dirette e Iva) sebbene questa procedura è, e sarebbe dovuta rimanere una facoltà ammissibile, in linea di principio, solo ove possa giustificarsi una rivisitazione della pretesa con l’apporto partecipativo del contribuente.
La seconda: il sistema dei controlli mostra sempre più marcatamente la presenza di istituti che concedono minori garanzie procedimentali al singolo con riferimento a taluni accertamenti (e tributi) e non a tutti e che, in taluni casi, potrebbe avallare l’utilizzo anche improprio dei metodi di accertamento.
Si pensi al caso degli accertamenti parziali ex articolo 41 bis del Dpr 600/73 esclusi dall’invito obbligatorio all’adesione nonostante il fatto che l’essenza dell’accertamento parziale stia (solo) nell’«automatismo argomentativo» tra il contenuto dell’atto di accertamento e gli elementi certi e precisi (e non presuntivi o valutativi) emersi da una data segnalazione esterna (di altri uffici o dell’anagrafe) che andrebbero vagliati proprio con la partecipazione del contribuente per risolvere le incertezze emerse dal confronto (a tavolino) tra il contenuto della segnalazione esterna e il dichiarato.
La terza: ove l’Ufficio non dovesse invitare il contribuente all’adesione, costui sarà tenuto a dimostrare in sede giudiziale le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato, addossandosi l’onere della prova di resistenza e quindi, anche l’onere (ed i costi) di difesa per tutelare i suoi diritti, nonostante il fatto che la violazione dell’obbligo all’adesione dovrebbe imputarsi unicamente al soggetto onerato e, quindi, all’Ufficio.
In caso di mancato accordo in adesione, inoltre, l’avviso di accertamento dovrà essere motivato in relazione ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti nel corso del contraddittorio (motivazione rafforzata). Il contribuente sarà, pertanto, esposto al rischio di fornire ulteriori elementi che gli Uffici potranno utilizzare per modificare i motivi dei recuperi che, come a volte accade, potrebbero essere anche frutto di incompleti, errati o illegittimi rilievi emersi in sede di verifica e non incappare, al contempo, nel divieto di integrare la motivazione nel corso del processo.
In definitiva, la materia dei controlli è stata incanalata in un sistema in cui il contribuente viene spinto a incrementare, come ammette l’Agenzia (circolare 17/2020), «il proprio adempimento spontaneo e ridurre, conseguentemente, il tax gap». Il tutto mortificando, in buona sostanza, la ratio del contraddittorio e la parità delle armi nel procedimento e nel processo.