Controlli e liti

Il contribuente deve giustificare ogni versamento contestato dal Fisco

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di Alessandro Borgoglio

A fronte della contestazione di maggiori ricavi sulla base dei versamenti riscontrati dal fisco in sede di indagini finanziarie, il contribuente non può limitarsi a opporre, in modo del tutto generico, la corrispondenza tra l'importo complessivo delle somme versate sul conto corrente nel periodo accertato e la sommatoria di tutti gli incassi commerciali registrati contabilmente nello stesso periodo, essendo, invece richiesta una giustificazione puntuale di ogni singola movimentazione bancaria contestata dall’Ufficio. Lo ha stabilito la Cassazione - a quanto consta, per la prima volta - con l’ordinanza 26985/2019.
Se per una parte della giurisprudenza di merito le indagini finanziarie ex articolo 32, comma 1, numero 2 del Dpr 600/1973 e articolo 51, comma 2, numero 2, del Dpr 633/1972 sono assistite da una presunzione semplicissima, che non è sufficiente da sola a legittimare l’accertamento, per cui il fisco è tenuto a reperire ulteriori elementi probatori convergenti (si vedano Ctp Brescia, sentenza 790//1/2018; Ctp Treviso, sentenza 323/1/2016), secondo la Suprema Corte, invece, tali indagini finanziarie integrano una presunzione legale relativa (Cassazione 3785, 8266, 44562 e 25786 del 2018), per cui l’onere probatorio dell’amministrazione finanziaria è soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili a operazioni imponibili, fornendo a tal fine una prova non generica, ma analitica, e potendosi questi avvalere anche di presunzioni semplici, che devono però essere attentamente vagliate dal giudice per quanto concerne i tempi dei fatti addotti, l’ammontare e il contesto complessivo (Cassazione 26432/2018, 17156/2018, 5758/2018, 27075/2017).
Taluni giudici provinciali pochi mesi fa avevano quindi stabilito che il contribuente può contrastare l’accertamento bancario, dimostrando che i versamenti sul conto corrente contestati dall’Ufficio sono ascrivibili a incassi per contanti relativi a gruppi di fatture di vendita o di scontrini emessi di modico importo: insomma, la prova contraria del contribuente può essere fornita per masse di incassi (si veda Ctp Caserta, sentenza 1866/2019).
La Suprema Corte, però, con l’ordinanza qui commentata, ha ribaltato questa tesi e, infatti, cassando anche in questo caso la decisione del collegio di merito favorevole al contribuente, ha stabilito che nel caso di specie dal prospetto prodotto dal commerciante non emergeva alcuna reale corrispondenza aritmetica e sommatoria fra i singoli versamenti e gli incassi del giorno, trattandosi di incassi aggregati per più giornate, cosicché la dedotta corrispondenza fra le singole somme versate ogni giorno e l’incasso della giornata medesima era meramente congetturale, non essendo stata accertata alcuna corrispondenza analitica fra singolo versamento e causale allegata, laddove la prova liberatoria avrebbe dovuto viceversa essere circostanziata e non generica.
Continua quindi a perdurare la linea rigorosa della Cassazione, che richiede una puntuale dimostrazione contraria al contribuente per ogni singolo versamento contestato dal Fisco, senza possibilità di fornire una prova contraria per “sommatorie presuntive”, sebbene anche altri giudici di merito si siano pronunciati a favore di tali giustificazioni “per masse”, stabilendo che, nel caso in cui il contribuente abbia adottato la contabilità semplificata, i risultati delle indagini finanziarie nei suoi confronti possono assumere rilievo, ai fini accertativi, soltanto se i ricavi complessivamente dichiarati sono inferiori all’ammontare totale dei versamenti riscontrati sui conti correnti (si vedano Ctr Torino, sentenza 873/31/14; contra, Cassazione 1560/2015).

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