Controlli e liti

Il filtro politico può rendere selettiva l’attività di controllo e notifica del Fisco

L’allarme lanciato da Ernesto Maria Ruffini (Entrate) sulla mole di notifiche nei mesi a venire

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di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Il rischio di notifica nei prossimi mesi di circa 8,5 milioni di atti evidenziato dai vertici dell’agenzia delle Entrate, in conseguenza dell’abrogazione della proroga biennale degli ordinari termini di decadenza, inizialmente prevista dal Cura Italia, offre lo spunto per alcune considerazioni.

Innanzitutto va detto che i vertici dell’agenzia delle Entrate sono chiamati ad attuare le direttive impartite dal ministero anche in termini di controlli e accertamenti. Ne consegue che, se tali direttive non vengono modificate in conseguenza dell’emergenza, è comprensibile che chi rappresenta l’amministrazione e deve istituzionalmente tutelare gli interessi dell’erario si preoccupi in questo momento di assicurare questa importante funzione, anche a costo di risultare inopportuno.

Parimenti va ricordato che la norma sulla proroga di due anni dei termini di decadenza e prescrizione in presenza di eventi eccezionali è stata introdotta nel nostro ordinamento da ben cinque anni (Dlgs 159/2015), per cui le evidenti asimmetrie che essa introduce a favore dell’amministrazione, devono essere ascritte al legislatore delegato di quegli anni.

Passando invece più a un profilo squisitamente tecnico, pare di comprendere che la ragione di questa preannunciata imponente mole di comunicazioni derivi dal blocco delle attività delle Entrate in questo periodo e dalla mancata previsione della proroga dei termini decadenziali. Con la conseguenza che quelle attività non svolte in questi mesi devono necessariamente essere recuperate nei prossimi, pena la loro decadenza/prescrizione che comporterebbe un evidente danno all’erario.

Al riguardo va evidenziato che il blocco è iniziato a marzo inoltrato e, anche senza l’emergenza, le festività pasquali, come ogni anno, avrebbero comunque comportato un minimo rallentamento delle attività degli uffici. Ne consegue che, stando ai dati enunciati, in poco più di due mesi, si sarebbe determinato un arretrato di circa 8,5 milioni di atti. Sebbene, non sia nota la natura degli atti in questione (se avvisi bonari, inviti, questionari, lettere di compliance, accertamenti ecc.), certo è che se si considera che per il 2015 sono state complessivamente presentate 5,125 milioni di dichiarazioni Iva, 1,5 milioni di dichiarazioni Ires e 9,8 milioni di dichiarazioni Irpef, l’arretrato di poco più di due mesi pare un po’ eccessivo. Sarebbe singolare, infatti, sia che circa la metà di tutte le dichiarazioni presentate abbiano irregolarità, sia che in soli due mesi si sarebbero dovuti notificare 8,5 milioni di atti.

Probabilmente tali numeri comprendono anche comunicazioni relative a periodi di imposta successivi come il 2016.

Tuttavia, pur ipotizzando che negli 8,5 milioni di notifiche, ci siano anche atti relativi ad annualità successive, l’urgenza dell’invio non si giustifica. Dal periodo di imposta 2016, infatti, i tempi di decadenza sono stati aumentati di un anno (31 dicembre del quinto anno successivo alla presentazione della dichiarazione o settimo anno successivo in caso di omissione), per cui i controlli per queste dichiarazioni possono essere rinviati senza alcun rischio di decadenza.

Da considerare, poi, che l’interpretazione contenuta nella circolare 8/E del 2020, sulla norma di differimento della decadenza, era di estremo favore per l’amministrazione. Sono stati ritenuti prorogati finanche i riscontri alle memorie avverso le contestazioni di sanzioni per i quali gli uffici hanno ordinariamente un anno a disposizione.

È pertanto verosimile che se la predetta circolare avesse offerto una interpretazione più moderata e di buon senso sulla proroga dei due anni (sicuramente di non facile applicazione), probabilmente vi sarebbero state meno critiche e forse anche una differente decisione in ordine all’abrogazione della disposizione tanto discussa.

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