Controlli e liti

Il recesso tipico campanello d’allarme dei controlli

L’amministrazione potrebbe sospettare la distribuzione di riserve con fiscalità

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di Michela Folli e Marco Piazza

Fra gli estremi opposti sopra descritti, vi sono numerose riorganizzazioni in cui alcuni soci escono in tutto dalla compagine sociale, altri solo in parte e altri ancora aumentano la loro quota di partecipazione con o senza l'ingresso di nuovi soci. Spesso il riassetto societario avviene mediante costituzione di una holding indebitata destinata ad essere mantenuta in vita o fusa con la target. Molti interpelli – quelli più controversi – riguardano proprio queste casistiche.

Va subito detto che l'elemento critico è sempre costituito dal fatto che l'operazione avviene mediante indebitamento che, direttamente o indirettamente, viene accollato alla società target (cosiddetto “debt push down”) e che i soci uscenti si avvalgono della facoltà di rideterminare il costo d'acquisto della partecipazione. Il sospetto dell'amministrazione finanziaria è che l'operazione abbia per reale finalità l'intento di distribuire riserve della società target fruendo di una fiscalità ridotta.

In questi contesti, l'Agenzia ravvisa l'esistenza di un vantaggio tributario indebito nel fatto che, secondo l'Agenzia, lo stesso risultato economico (riduzione della partecipazione di uno o più soci a favore di altri soci) sarebbe ottenibile mediante il “recesso tipico” del socio uscente e un successivo aumento di capitale sottoscritto da parte degli altri soci, procedimento che comporterebbe la tassazione in capo al soci uscenti delle riserve della società e che sarebbe, sempre secondo l'Agenzia, più lineare. In altri termini la dimostrazione da parte dell'Agenzia dell'esistenza di un vantaggio tributario indebito passa attraverso la riqualificazione di un “recesso atipico” (che, per l'Agenzia, si attuerebbe solo mediante la cessione a titolo oneroso della partecipazione agli altri soci ovvero a soggetti terzi estranei alla compagine sociale), suscettibile di generare redditi diversi di natura finanziaria (capital gain) in un “recesso tipico”, che, invece, come si è detto, genera redditi di capitale (si veda la risposta 341/2019 e la risposta 242/2020) . Peraltro, in alcuni casi vi è da dubitare che il recesso tipico sia il percorso più lineare, soprattutto quando i soci “superstiti” incrementino la loro quota di partecipazione in proporzioni diverse da quelle originarie. Per ottenere il risultato voluto con il procedimento dell'Agenzia alcuni di essi, in sede di aumento del capitale dovrebbero cedere diritti d'opzione agli altri o rinunciare ad esercitarli e le cose si complicherebbero se per esigenze di governo societario fosse necessario costituire una holding destinata a sottoscrivere l'aumento di capitale, dato che i soci superstiti dovrebbero, il più delle volte conferire nella holding le partecipazioni già possedute sostenendo maggiori oneri non solo fiscali. Inoltre, rifacendosi alla relazione all'articolo 10-bis, non pare che vi siano norme tributarie che esprimano una preferenza per il recesso tipico rispetto alla cessione delle partecipazioni agli altri soci o società da essi costituite.

La questione quindi non è pacifica. Sta di fatto che l'agenzia delle Entrate, riqualificando le cessioni di partecipazioni previamente rivalutate all'interno della compagine societaria come “recessi tipici” con successivo aumento di capitale da parte dei soci superstiti, tende a ravvisare l'esistenza di un vantaggio tributario indebito, il che richiede al contribuente di fornire la prova della sussistenza di valide ragioni economiche.

In questa fase entrano in gioco valutazioni soggettive che non possono che essere fatte caso per caso. La risposta 537/2019, ad esempio, pur ribadendo l'esistenza di un vantaggio tributario indebito nella cessione di partecipazioni rivalutate ad una nuova società di cui i cedenti siano “dominus” ha giudicato l'operazione conforme a normali logiche di mercato, essendo fisiologicamente preordinate a riorganizzare le società attive nel core business del Gruppo. Probabilmente, l'indebito vantaggio tributario conseguito dai cedenti è stato considerato marginale rispetto agli obiettivi economici perseguiti con la riorganizzazione.

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