I temi di NT+Modulo 24

Il ricorso sull’atto di irrogazione sanzioni estende la difesa contro la rettifica

Una volta definito l’avviso, le sanzioni vanno riscosse entro 5 anni da quando la decadenza è stata impedita

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di Andrea Carinci

In base all’articolo 17, comma 1, del Dlgs n. 472/1992, per l’irrogazione delle sanzioni connesse al tributo, occorre procedere con un atto contestuale all’avviso di accertamento o di rettifica, senza la previa notifica di un atto di contestazione (come previsto invece nella procedura ex articolo 16).

La contestualità dei due atti (contenuti nel medesimo documento) porta a chiedersi se ed in che termini l’atto di irrogazione delle sanzioni costituisca un atto autonomo rispetto all’avviso di accertamento e, così, se possa ravvisarsi un’autonomia anche tra le relative pretese.

L’autonomia dell’atto di irrogazione e della pretesa sanzionatoria

Il primo dato che induce a ritenere i due atti autonomi è quello letterale. L’articolo 17 parla, infatti, di un «atto contestuale all’avviso di accertamento o di rettifica, motivato a pena di nullità». La formula impiegata induce a ritenere che non si possa irrogare la sanzione direttamente con l’avviso di accertamento, ma che occorra un atto distinto, contestuale, ma diverso ed ulteriore.La necessità di un atto autonomo e distinto è poi confermata dalla previsione di un obbligo di motivazione specifico per le sanzioni, previsto dall’articolo 17, comma 1. Tale specificazione non apparirebbe necessaria se l’irrogazione delle sanzioni avvenisse con l’avviso di accertamento, posto che tale atto dev’essere già motivato.A favore dell’autonomia dell’atto di irrogazione della sanzione, soccorre la possibilità di definire la pretesa sanzionatoria prima e a prescindere dalla definizione dell’avviso di accertamento.

L’articolo 17, comma 2, prevede la possibilità di definire in via agevolata le sanzioni con il pagamento di un terzo delle stesse, ferma la possibilità di impugnare l’accertamento del tributo (circolare n. 180 del 10 luglio 1998); ciò significa che il debitore, pur avendo definito le sanzioni, può contestare la pretesa impositiva. I due atti e le pretese in essi contenute possono pertanto avere sorti autonome. Peraltro, l’eventuale annullamento in sede contenziosa dell’avviso, o la rimodulazione della pretesa in sede di adesione, non comportano la restituzione di quanto versato dal contribuente a titolo di sanzioni (ex pluris, Cassazione n. 25577 del 27 ottobre 2017).Vero è, però, che non è consentito il contrario. Ai sensi dell’articolo 15 del Dlgs n. 218/1997, prestando acquiescenza all’avviso di accertamento o di rettifica si ottiene una riduzione delle sanzioni. Le sanzioni devono esser pagate in misura ridotta e non è ipotizzabile un contenzioso limitato esclusivamente ad esse.

L’acquiescenza al tributo comporta quindi, necessariamente, acquiescenza alla pretesa sanzionatoria.

L’obbligo autonomo di motivazione

Nonostante quanto osservato circa l’obbligo di un’autonoma motivazione dell’atto di irrogazione delle sanzioni, in concreto, tale prescrizione rimane sovente disattesa; ciò, segnatamente nelle ipotesi di irrogazione della sanzione in misura pari al minimo edittale. In questi casi, la prassi e la giurisprudenza appaiono ferme nel ritenere che il contribuente non necessiti di motivi ulteriori a giustificazione della sanzione irrogata rispetto a quelli che sorreggono il recupero dell’imposta. Si realizza, per questa via, una sorta di oggettivazione della colpa, che diventa presunta dalla commissione dell’illecito che giustifica il recupero dell’imposta, e che si traduce nel ribaltamento in capo al contribuente-trasgressore dell’onere di fornire la prova contraria circa l’assenza di colpa, segnatamente di una delle cause di non punibilità di cui all’articolo 6 del Dlgs n. 472/1997.

Con ogni evidenza, però, tale conclusione non può valere quando la sanzione viene irrogata oltre i minimi edittali. In tal caso, infatti, l’Agenzia è tenuta a fornire puntuale motivazione delle ragioni del superamento di detti limiti, alla stregua dei criteri di cui all’articolo 7 del Dlgs n. 472/1997. In questi casi, quindi, la motivazione dell’atto di irrogazione delle sanzioni dev’essere necessariamente propria ed autonoma.

L’autonomia dei termini di prescrizione
Per l’irrogazione delle sanzioni sono previsti precisi termini decadenziali. Nel procedimento previsto ex articolo 17, comma 1, per le sanzioni connesse al tributo, detti termini coincidono però con quelli previsti «per l’accertamento dei singoli tributi».

Per la riscossione delle sanzioni è invece previsto uno specifico termine di prescrizione.

In virtù del comma 3 dell’articolo 20 del Dlgs n. 472/1997, il diritto alla riscossione si prescrive in cinque anni. Detto termine, che si interrompe in caso di impugnazione del provvedimento di irrogazione e non corre fino alla definizione del procedimento, non è in alcun modo collegato all’accertamento del tributo e deve considerarsi autonomo da esso.

Ad avviso della giurisprudenza, tuttavia, «il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell’articolo 2953 del Codice civile, che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta actio iudicati, mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dal Dlgs 18 dicembre 1997, n. 472, articolo 20, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario» (Cassazione, sezioni Unite, 10 dicembre 2009, n. 25790; Cassazione, 22 marzo 2019, n. 8105).

Si tratta però di una soluzione che contraddice il dato letterale della norma (dell’articolo 20), posto che qui si prevede espressamente che l’impugnazione del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione e che la prescrizione riprende a decorrere dalla definizione del procedimento.

Dove insomma è chiaro che la prescrizione di cui si tratta è quella dei cinque anni. Pertanto, non vi sono margini per l’applicazione dell’articolo 2953 del Codice civile.

L’effetto espansivo interno della decisione sulla pretesa tributaria

La giurisprudenza commette anche un altro errore. Secondo un consolidato indirizzo, «nel caso di annullamento di una pretesa tributaria e delle relative sanzioni, l’impugnazione proposta con esclusivo riferimento all’imposta annullata si estende, in virtù del suo effetto espansivo interno, anche nei confronti delle sanzioni, che sono direttamente dipendenti dalla statuizione sulla pretesa, sempre che le sanzioni non siano state annullate per ragioni diverse ed autonome rispetto all’imposta» (Cassazione, 5 novembre 2020, n. 24732). Ciò significa che quand’anche il capo sulle sanzioni non è oggetto di impugnazione e, per l’effetto, dovrebbe ritenersi coperto dal giudicato, prevale in ogni caso l’impugnazione avente ad oggetto l’imposta.

Tale soluzione trascura però l’assetto disegnato dalle norme sulle sanzioni. L’atto di accertamento e l’atto di irrogazione sono due atti che ben possono avere sorti diverse; di conseguenza, dovrebbero essere considerati autonomamente anche in relazione alle impugnazioni. Nel senso che, se viene impugnata/appellata solo la determinazione dell’imposta e non anche l’irrogazione delle sanzioni, questa seconda dovrebbe definirsi irrimediabilmente. Si potrebbe obiettare che, quando si impugna l’imposta, implicitamente si contesta anche la liceità della condotta sanzionata e, quindi, la debenza delle sanzioni: del resto, l’atto che si impugna è uno solo e comune. Sennonché, va anche ricordato che, per regola generale, le contestazioni all’interno di un avviso, che non sono impugnate, si definiscono per acquiescenza. Inoltre, e sicuramente, l’impugnazione ’implicita’ non è argomentabile in tutti i casi in cui l’atto di irrogazione presenta una motivazione non coincidente con quella dell’avviso di accertamento.

L’impugnazione

Per tali ragioni appare opportuno sempre impugnare l’atto di irrogazione delle sanzioni, anche semplicemente palesando l’intenzione di estendere a tale atto i motivi di impugnazione dell’atto impositivo.

Questo però deve significare anche che, una volta definito l’avviso di irrogazione delle sanzioni, queste devono essere riscosse entro cinque anni da quando la decadenza è stata impedita; ciò, nonostante l’impugnazione dell’avviso con riguardo all’imposta.

Questo articolo fa parte del nuovo Modulo24 Accertamento e riscossione del Gruppo 24 Ore. Leggi gli altri articoli degli autori del Comitato scientifico e scopri i dettagli di Modulo24