Controlli e liti

Il solo consumo di bevande non basta per fondare l’accertamento al ristorante

La sentenza 1027/5/2021 della Ctr Toscana: la ricostruzione induttiva non teneva conto dei coperti a menù fisso

di Simone Buffoni e Damiano Tomassini

Il metodo di accertamento presuntivo del maggior reddito delle imprese di ristorazione, basato sul consumo di vino («vinometro») non può confliggere con le concrete caratteristiche e condizioni di esercizio dell’attività svolta. A ciò si aggiunga che la ricostruzione presuntiva dei ricavi, fondata sui fattori produttivi, può essere utilizza anche dal contribuente a proprio favore, dunque come prova contraria. Sono questi, in estrema sintesi, i principi espressi dalla Ctr Toscana (presidente Pedone, relatore Menchini), con la sentenza 1027/5/2021, nel solco tracciato negli ultimi anni dalla Cassazione.

La controversia

La questione affrontata dai giudici di merito è, in termini generali, quella della legittimità dell’operato dell’ufficio che pone a base delle ricostruzioni induttive del reddito il consumo di materie tipicamente utilizzate per lo svolgimento dell’attività. Tali tipologie accertative, assai utilizzate nella prassi operativa, a seconda dei fattori produttivi selezionati dall’Ufficio, hanno assunto nel tempo i nomi di «tovagliometro», «bottonometro», «lenzuolometro», «farinometro», «guantometro» eccetera.

La vicenda, da cui trae origine la pronuncia in questione, prende le mosse da un avviso di accertamento emesso a carico di una società esercente l’attività di ristorazione. Con l’atto impositivo, l’ufficio contestava maggiori ricavi non dichiarati, basandosi esclusivamente sul consumo di vino. La società impugnava l’avviso di accertamento davanti all’autorità giurisdizionale evidenziando, innanzitutto, che il controllo erariale aveva riguardato solo una parte ridotta dell’attività di ristorazione esercitata.

Inoltre, la contribuente rilevava che l’ipotesi presuntiva dell’ufficio si era basata esclusivamente sul consumo di vino e su una semplice proporzione astratta dall’ufficio su un campione scelto dal medesimo. Al contempo, la ricorrente offriva prove contrarie a dimostrazione della veridicità del reddito dichiarato, quali l’effettivo consumo di tovaglioli e la congruità dei prezzi medi applicati alla clientela. La Commissione accoglieva il ricorso della contribuente. All’esito del giudizio di primo grado, l’ufficio aveva proposto appello, cui la società si era opposta ribadendo la propria tesi. In particolare, l’Amministrazione finanziaria sosteneva la validità dell’accertamento attraverso un esame dettagliato delle quantità consumate di un solo fattore produttivo: il vino.

La decisione

La Ctr ha rigettato l’appello. Il collegio fiorentino ha preliminarmente ricordato che l’accertamento si basava unicamente sul consumo di vino, senza tener conto che larga parte dei coperti serviti erano a menù fisso, dove il consumo di vino era maggiore, in quanto non veniva specificatamente addebitato ai clienti. Tal che la Ctr ha rilevato che la ricostruzione induttiva non teneva conto della tipologia di coperti serviti. Su questo presupposto ha concluso che il metodo utilizzato dall’ufficio non era attendibile. Il collegio toscano ha inoltre ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto l’attendibilità del vinometro solo se integra una metodologia proporzionalmente ponderata alla fattispecie concreta. Infine, sul versante della prova contraria, ha concluso che la contribuente aveva dimostrato sia la corrispondenza dei coperti serviti a quelli dichiarati, con l’ausilio del tovagliometro, che la congruità del prezzo medio. Su queste basi, la Ctr ha rigettato l’appello, condannando l’ufficio alle spese di lite.

I precedenti

La decisione risulta essere conforme all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, quindi corretta. La Suprema corte ha ribadito, in più occasioni, la validità teorica delle metodologie di ricostruzione induttiva del reddito, per le imprese di ristorazione, basate sul consumo di tovaglioli (tovagliometro), di vino (vinometro), di acqua (bottigliometro), di farina (farinometro) o di caffè (caffettometro), da ultimo, Cassazione 11593/2021. Ciò in quanto, sotto il profilo probatorio, i fattori produttivi utilizzati dall’impresa per lo svolgimento della sua attività (fatto noto) lasciano ragionevolmente e verosimilmente presumere il fatto ignoto: il numero dei pasti effettivamente consumati.

Fermo restando ciò, i giudici di legittimità hanno evidenziato che la validità teorica di queste metodologie di ricostruzione induttiva del reddito non può confliggere con la specificità della realtà aziendale, pena l’inattendibilità del metodo utilizzato e, per l’effetto, del risultato reddituale da esso quantificato (Cassazione 1103/2017).

Ma non solo. La giurisprudenza, come avvenuto nel caso di specie, ha avvallato l’utilizzo di questi metodi di ricostruzione induttiva del reddito anche in favore del contribuente, dunque come prova contraria rispetto a fatti sintomatici di evasione, di volta in volta, selezionati dall’agenzia delle Entrate (Ctr Lazio 275/38/2009).

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