Imposte

Il superbonus al 90% senza sconto o cessione chiude ai redditi bassi

L’agevolazione calerà dal 2023, mentre la crisi del mercato dei crediti spinge verso l'uso diretto. Ma per detrarre serve la capienza fiscale

Più teste, più difficoltà. In condominio è più probabile che ci sia qualche contribuente a basso reddito o che, pur con un'Irpef “capiente”, non può anticipare le spese su cui si calcolerà la detrazione.

di Dario Aquaro e Cristiano Dell'Oste

Per chi è interessato a sfruttare il superbonus nel 2023, è il momento di ripensare tutto da capo. Cominciando a chiedersi – in primo luogo – se davvero è impossibile usare l’agevolazione sotto forma di detrazione, cioè scontarla dalle imposte dovute. Dopo il decreto Aiuti-quater, le parole del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sono state ruvide ma chiare: il superbonus diventerà meno generoso perché costa troppo allo Stato; l’utilizzo sotto forma di detrazione è garantito; la cessione del credito è una possibilità, non un diritto. In altre parole: se non si è sicuri di trovare un acquirente del credito d’imposta (oppure un’impresa disposta a fare lo sconto in fattura), bisogna valutare l’uso diretto del bonus.

Non ci occupiamo qui di chi ha già avviato i lavori, e punta sulla salvaguardia del regime transitorio per avere il 110 per cento. Né di chi ha crediti d’imposta incagliati, e attende una soluzione. Pensiamo piuttosto a chi, per il momento, il cantiere l’ha solo immaginato, e si chiede quali margini d’azione restino dopo la stretta.

Secondo il testo esaminato giovedì scorso dal Consiglio dei ministri, il superbonus sarà al 90% nel 2023 (e poi al 70% nel 2024 e al 65% nel 2025) per i condomìni e per gli edifici di un unico proprietario – o in comproprietà tra più persone fisiche – composti da due a quattro unità immobiliari. Sarà inoltre al 90%, ma nel solo 2023, per i proprietari di edifici monofamiliari (le cosiddette villette) e unità funzionalmente indipendenti con accesso autonomo, se si rispettano i nuovi requisiti fissati dal decreto Aiuti-quater: l’immobile dev’essere l’abitazione principale di contribuenti che non superano una certa soglia di reddito (15mila euro, ricalcolati secondo una sorta di coefficiente familiare, si veda a pagina 8).

Il caso dei piccoli edifici

Vediamo un esempio. Secondo i dati dell’Enea, l’investimento medio per le unità indipendenti è di 97mila euro. Con un minimo di approssimazione, possiamo riferire quest’importo a ciascuno dei due appartamenti di cui si compone una casa bifamiliare posseduta da due fratelli. Passare da una detrazione del 110% a una del 90% significa scendere da 106.700 a 87.300 euro di bonus: nel primo caso, avanzavano quasi 10mila euro per coprire i costi finanziari; nel secondo caso, ciascuno dei due comproprietari deve comunque farsi carico di circa 10mila euro di costo dei lavori, oltre agli eventuali interessi se decidesse di farsi prestare il denaro da una banca. L’utilizzo diretto, però, non è così semplice: un superbonus di 87.300 euro sarebbe da recuperare in quattro rate annuali da 21.825 euro. Una cifra che pochi contribuenti possono permettersi di scontare dall’Irpef.

Tralasciando tutti gli autonomi nella flat tax, che non possono usare le detrazioni, dalle Statistiche fiscali delle Finanze (dichiarazioni 2021) emerge che per avere un’Irpef netta in grado di assorbire una rata del genere serve un reddito complessivo da 75mila euro in su: livello raggiunto solo dal 2,4% dei contribuenti. Altrimenti la detrazione va sprecata.

Chi è sotto questa soglia di reddito potrebbe rientrare in gioco solo se le regole cambiassero di nuovo, aumentando il numero di anni su cui spalmare la detrazione. Ad esempio, se si tornasse a cinque rate (com’è stato fino al 2021), con lo stesso investimento di 97mila euro la detrazione del 90% sarebbe infatti pari a 17.460 euro annui: sconto accessibile a chi ha un reddito di almeno 60mila euro.

Gli ostacoli in condominio

Nelle analisi di fattibilità in condominio, la faccenda si complica. È vero che la spesa a carico del singolo tende a essere più bassa che nelle villette e nei piccoli edifici plurifamiliari. E infatti l’investimento medio rilevato dall’Enea per l’intero edificio condominiale è di 594mila euro. Ma dove ci sono più persone è più probabile che ci sia anche qualche contribuente a basso reddito; o che – pur avendo un’Irpef “capiente” – non ha la disponibilità economica o la volontà di anticipare l’investimento per poi recuperarlo con la detrazione. Non sono problemi inediti. Anzi, per anni – finché non sono esplose le cessioni “a tappeto” con il Dl Rilancio 2020 – gli interventi di riqualificazione agevolati in condominio sono stati frenati proprio da questi ostacoli.

Ipotizzando che la spesa di 594mila euro sia riferita a un edificio di 20 appartamenti, la detrazione pro capite totale è di 26.730 euro, in quattro rate da 6.682 euro, che richiedono un reddito di circa 35mila euro per non essere sprecate. La spesa non coperta dal bonus, invece, è di circa 3mila euro per ogni condomino.

Sono conti tutto sommato vantaggiosi. Ricordiamoci che una detrazione del 90%, solo nel 2019, era un miraggio. Il punto però è che – senza cessione – bastano pochi pensionati al minimo o qualche forfettario per bloccare il voto in assemblea. E, comunque, anche in caso di cessione le condizioni praticate nel 2023 – tra costo del denaro in aumento e detrazione ridotta da 110 a 90% – imporranno ai condòmini di farsi carico di una fetta maggiore di spese. Senza contare poi il rischio di non finire i lavori entro il 2023 e di sforare negli anni successivi, quando le spese avranno il 70 o il 65%: percentuali che potrebbero far saltare l’equilibrio economico per i proprietari con minor capacità di spesa.

Un rimedio “casalingo” è quello di cedere il credito a un vicino di casa (o comunque a un parente o un conoscente imprenditore) che però potrà usarlo solo in F24 in compensazione, e non in detrazione. Ma chiaramente non è una soluzione per tutti.

Ecco perché si può ipotizzare uno scenario in cui il superbonus avrà due categorie di beneficiari. Ci sarà chi riuscirà ancora a sfruttare la cessione o lo sconto in fattura, trovando banche o imprese disponibili. E chi potrà farne a meno: soprattutto possessori di piccoli edifici, con un reddito elevato e buona capacità d’investimento.

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