Controlli e liti

Illegale la scissione con svendita del capitale

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di Giovanni Negri

È illegale la scissione societaria parziale, se accompagnata dalla cessione del capitale sociale a prezzo irrisorio e dal trasferimento della rappresentanza legale a un semplice prestanome. Lo puntualizza la Corte di cassazione con la sentenza della Terza sezione penale n. 31420 depositata ieri. La Corte ha così confermato la misura del sequestro preventivo disposta, per circa 3 milioni di euro, sui beni personali dell’ex amministratrice di una società accusata di evasione e sottrazione fraudolenta al pagamento d’impsta.

La difesa, tra i motivi di ricorso, aveva valorizzato una recentissima sentenza della stessa cassazione, la n. 10161 del 2018, sostenendo che la mancata presentazione delle dichiarazioni era imputabile solo a titolo di colpa vista l’impossibilità oggettiva di ricostruire le vicende societarie per l’arresto dell’amministratore (per l’accusa un prestanome) e che la scissione era realmente avvenuta e che in assenza di qualsiasi intenzione fraudolenta, perchè il programma contrattuale era invece quello di destinare il denaro frutto dell’operazione straordinaria al pagamento dei debiti.

Tesi che non è apparsa per nulla convincente alla Cassazione. Che ha invece condiviso la ricostruzione del tribunale del riesame in base alla quale, nel caso esaminato, a differenza del precedente che si intendeva far valere, non è in discussione “solo” la realizzazione di un’operazione straordinaria: alla scissione cioè si è affiancata la cessione del capitale sociale, atti entrambi compiuti, secondo la sequenza cronologica, solo dopo che ra sorto il debito tributario della società dalla quale era stato scisso il patrimonio societario con attribuzione a un’altra società.

Non regge neppure l’appello al principio per cui in caso di scissione dei debiti tributari rispondono solidalmente tutte le società beneficiarie, visto che la solidarietà è limitata al valore effettivo del patrimonio netto attribuito a ciascuna società beneficiaria.

Cassazione, III sezione penale, sentenza 31420 del 10 luglio 2018

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