Immobili strumentali, rinuncia all’usufrutto con registro fisso
Nel caso di rinuncia al diritto di usufrutto impresso per un dato periodo di tempo su un fabbricato strumentale, effettuata da un soggetto Iva, che aveva ricevuto la concessione dell’usufrutto in questione da altro soggetto Iva, il regime di tassazione da applicare al contratto di risoluzione è quello previsto per la cessione di diritti reali su beni immobili strumentali per natura e, quindi, con applicazione:
• dell’imposta di registro in misura fissa (tanto se si tratta di atto esente da Iva o imponibile a Iva per opzione, in virtù del principio di alternatività tra Iva e imposta di registro, di cui all’articolo 40 del dpr 131/1986, testo unico dell’imposta di registro);
• delle imposte ipotecaria e catastale rispettivamente nella misura del 3 per cento e dell’1 per cento.
È quanto si legge nella risposta 41 del 12 febbraio 2019 dell’agenzia delle Entrate ( clicca qui per consultarla ), rispetto a un interpello presentato da un contribuente, nella quale si specifica altresì che la base imponibile cui commisurare le imposte proporzionali (ai sensi degli articoli 2, comma 1, e 10, comma 1, del Dlgs 347/1990, testo unico delle imposte ipotecaria e catastale) deve essere commisurata alla base imponibile determinata ai fini dell’imposta di registro o dell’imposta sulle successioni e donazioni. Vale a dire che, trattandosi di usufrutto su fabbricati, la base imponibile è costituita dal valore venale in comune commercio alla data dell’atto (rapportato al diritto di usufrutto e alla sua durata) o, se superiore, il corrispettivo pattuito.
La risposta delle Entrate aderisce alla tesi della Cassazione (decisione n. 4134/2015) secondo la quale l’articolo 28 del Dpr 131/1986 regola due diverse ipotesi di tassazione di atti risolutivi di negozi giuridici:
• la prima ipotesi (cui è applicabile la tassazione in misura fissa) è quella della risoluzione che trova fonte in clausole o condizioni risolutive espresse contenute nel negozio da risolvere (oppure stipulate con negozio autonomo ma entro il secondo giorno successivo a quello di conclusione del negozio da risolversi);
• nella seconda ipotesi rientra ogni fattispecie risolutiva diversa dalla precedente (in questo caso la norma prevede che l’imposta «è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione»).
Dato che il negozio risolutivo è, dunque, annoverabile in quest’ultimo ambito (trattandosi di un contratto recante un patto di “mutuo dissenso” a mezzo del quale viene retrocessa la proprietà e la disponibilità del bene che fu oggetto di trasferimento con il contratto risolto), esso andrebbe inquadrato come «nuovo contratto, di natura solutoria e liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto originario» e con efficacia non retroattiva. Pertanto, il contratto con il quale viene convenuta la risoluzione, comportando la retrocessione del bene oggetto del contratto risolto, deve essere assoggettato alla imposta proporzionale di registro da applicarsi con la aliquota prevista per i trasferimenti immobiliari.
Agenzia delle Entrate, interpello, risposta 41 del 12 febbraio 2019