Imu, tassa rifiuti e aree pubbliche: le risposte del Mef a Telefisco 2021
IMU
01 / Proprietario residente all’estero
QUESITO
Si chiede quale lettura dare al comma 48 della legge 178/2020 che ha previsto una riduzione al 50% per un immobile posseduto da un soggetto non residente in Italia. In particolare:
• a differenza dell’articolo 9-bis del Dl 47/2014, la normativa non fa più riferimento ai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato ed iscritti all’Aire, ma «a soggetti non residenti nel territorio dello Stato», quindi anche non Aire, ma a condizione che siano titolari di pensione «maturata in regime di convenzione internazionale con l’Italia»;
• se sulla base di quanto sopra, il Comune è tenuto a riconoscere, ad esempio, l’assimilazione per un immobile posseduto da un cittadino tedesco che sia titolare di una pensione maturata in regime di convenzione internazionale con l’Italia;
• ai fini Tari qual è il rapporto tra il comma 48 e l’articolo 9-bis del Dl 47/2014, posto che quest’ultima disposizione non risulta formalmente abrogata.
RISPOSTA
Si conferma che, a differenza della precedente disposizione, l’articolo 1, comma 48 della legge di Bilancio 2021, ai fini del riconoscimento delle agevolazioni in commento, fa esclusivo riferimento ai «soggetti non residenti nel territorio dello Stato», senza prevedere al contempo l’iscrizione degli stessi all’Aire. In più, la medesima disposizione richiede, quali ulteriori requisiti, che tali soggetti siano:
• titolari di pensione maturata in regime di convenzione internazionale con l’Italia;
• residenti in uno Stato di assicurazione diverso dall’Italia.
Si ritiene che le agevolazioni in argomento possano trovare applicazione anche nel caso descritto nel secondo punto, ossia quando l’immobile è posseduto da un cittadino tedesco – quindi non residente nel territorio dello Stato - che sia titolare di una pensione maturata in regime di convenzione internazionale con l’Italia, residente in uno Stato di erogazione diverso dall’Italia. Ovviamente, devono ricorrere anche tutti gli altri requisiti prescritti dal citato comma 48, vale a dire deve trattarsi di una sola unità immobiliare a uso abitativo, non locata o data in comodato d’uso, posseduta in Italia a titolo di proprietà o usufrutto.
In merito all’articolo 9-bis del Dl 47 del 2014, per quanto concerne l’Imu, occorre precisare che, non essendo stata riproposta tale norma nella riforma dell’Imu ad opera della legge di Bilancio 2020, la stessa deve ritenersi tacitamente abrogata. Anche con riferimento alla Tari la disposizione in commento deve ritenersi superata, dal momento che la nuova disposizione ha ridisciplinato la fattispecie, confermando il beneficio fiscale in questione e agganciandolo a mutati presupposti.
02/ Case separate, unico nucleo
QUESITO
Due immobili situati sullo stesso piano sono attigui con rendite catastali distinte ed abitati dal nucleo familiare senza unificazione fiscale. Il primo intestato alla moglie il secondo intestato al marito. Essendo entrambi abitati dal nucleo familiare (seppure con rendite distinte) si decade dal beneficio dell’abitazione principale? In caso positivo la decadenza riguarda entrambi i coniugi o solo uno di essi? Il Comune può contestare l’assenza dei requisiti relativi all’abitazione principale un anno a uno dei coniugi e un anno all’altro coniuge?
RISPOSTA
Nell’ipotesi prospettata, in cui non è stata effettuata neppure l’unificazione fiscale, si decade dal beneficio poiché non si riscontrano i requisiti previsti dalla legge. Ed invero il comma 741 dell’articolo 1 della legge 160 del 2019 impone, ai fini dell’esenzione, che si tratti di un immobile iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.
Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile.
Al riguardo si richiama la circolare 27/E del 13 giugno 2016 con cui l’agenzia delle Entrate ha fornito in merito chiarimenti al punto «1.7 Accatastamento unico e unione di fatto ai fini fiscali».
Si ritiene infine che in caso di contestazione a seguito di accertamento da parte dell’ente impositore, la decadenza dal beneficio riguarderà un solo immobile e sarà onere dei proprietari dimostrare in quale dei due immobili il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.
IMPOSTA DI SOGGIORNO
03/Il nodo dell’agente contabile
QUESITO
L’articolo 180 del Dl 34/2020 ha cambiato radicalmente la disciplina dell’imposta di soggiorno, con particolare riferimento al rapporto tra il gestore della struttura ricettiva e il Comune. In particolare il gestore della struttura ricettiva diventa responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno (con diritto di rivalsa sui soggetti passivi) ed è tenuto al rispetto di diversi obblighi previsti per legge (come la presentazione di una dichiarazione annuale) e dal regolamento comunale, soggetto all’applicazione di sanzioni per omessa o infedele dichiarazione nonché per omesso, ritardato o parziale pagamento.
Non è comunque del tutto chiaro se, alla luce di tali modifiche, permanga o meno in capo al gestore della struttura ricettiva il ruolo di agente contabile, riconosciuto dalla giurisprudenza formatasi sulla precedente disciplina (tra cui si segnala la sentenza 22/2016 della Corte dei conti, sezioni riunite).
La sesta sezione penale della Cassazione ha recentemente affermato che a partire dal 19 maggio 2020 (data di entrata in vigore del Dl 34/2020) non è più configurabile il delitto di peculato, posto che il denaro ancora non versato a titolo d’imposta per definizione non costituisce denaro altrui né quale soggetto giuridico onerato del tributo il gestore può essere ritenuto incaricato di pubblico servizio (sentenza 30227 del 30 ottobre 2020). Pertanto i gestori delle strutture ricettive non dovrebbero più essere considerati agenti contabili.
Tuttavia alcune sezioni giurisdizionali della Corte dei conti ritengono che i gestori delle strutture ricettive restano agenti contabili anche dopo le modifiche apportate alla disciplina dell’imposta di soggiorno dall’articolo 180 del Dl 34/2020 (Corte dei conti Sicilia sentenza 432 del 2 settembre 2020; Corte dei conti Toscana sentenze 273 del 30 settembre 2020 e 286 del 4 novembre 2020).
Posto che la questione è di particolare rilevanza, attesi gli adempimenti a carico degli agenti contabili, tra cui la resa del conto giudiziale con obbligo di parifica da parte dei Comuni, si chiede quale orientamento devono seguire i Comuni.
RISPOSTA
Data la continua evoluzione, dal punto di vista giurisprudenziale, della materia sottoposta di recente a una modifica normativa, occorre tener conto di quanto le varie magistrature stanno di volta in volta affermando in ordine a tale tema che investe i diversi profili di responsabilità gravante sui gestori delle strutture ricettive.
Ed invero, da ultima la Corte dei conti nelle sentenze citate, pur in considerazione della depenalizzazione che la fattispecie ha subito a giudizio della Sesta sezione penale della Cassazione, tuttavia ha ribadito che: «Infatti tale disposizione, mentre appare aver operato una specifica depenalizzazione della condotta illecita del gestore di struttura alberghiera, ora punita espressamente con sanzione amministrativa, nulla ha innovato in ordine alla responsabilità contabile del gestore stesso.
In pratica, il gestore della struttura alberghiera deve provvedere all’incasso della tassa di soggiorno, accantonandola, e successivamente deve trasmetterla al Comune. Il gestore non assume così la veste di sostituto di imposta, bensì quella di responsabile del pagamento, un agente contabile che maneggia denaro pubblico ed è tenuto a riversarlo nelle casse dell’ente pubblico (cfr. Cassazione, sez. VI, 26 marzo 2019, n. 27707).
Ai fini che qui rilevano, anche alla luce della sopravvenuta normativa, si è purtuttavia in presenza (anche nella presente fattispecie) di un rapporto idoneo a fondare gli elementi costitutivi della responsabilità contabile, riscontrandosi le caratteristiche dell’agente contabile, come delineate dall’articolo 178 del Rd 827 del 1924, conseguenti linearmente al maneggio di denaro riscosso per conto dell’Erario e ad esso destinato, con la conseguenza che esso acquisisce natura di pecunia pubblica».
La Corte dei conti, quindi, sulla base di tali condivisibili considerazioni perviene alla conclusione secondo cui «sussistono i presupposti e gli elementi oggettivi del danno erariale»; circostanza questa che non può essere assolutamente trascurata dai Comuni.
TOSAP, COSAP E CANONE DI LOCAZIONE
04/ L’esonero del Dl Rilancio
QUESITO
L’articolo 181, comma 1-bis, del Dl 34/2020 ha introdotto l’esonero dal pagamento della Tosap/Cosap per «i titolari di concessioni o di autorizzazioni concernenti l’utilizzazione del suolo pubblico per l’esercizio del commercio su aree pubbliche», relativamente al periodo dal 1° marzo 2020 al 15 ottobre 2020.
Per gli stessi soggetti l’articolo 9-ter del Dl 137/2020 ha previsto l’esonero dal pagamento del canone unico patrimoniale di cui ai commi 837 e seguenti della legge 160/2019, relativamente al periodo dal 1° gennaio 2021 al 31 marzo 2021.
Considerato che le disposizioni normative richiamate fanno riferimento ai “titolari” di concessioni o autorizzazioni, si chiede se l’esonero è estensibile anche agli assegnatari dei posteggi temporaneamente non occupati (i cosiddetti «spuntisti»).
RISPOSTA
In ordine alla questione dei cosiddetti “spuntisti”, che sono coloro che occupano le aree temporaneamente non occupate dal titolare della concessione, occorre effettuare la seguente precisazione.
Se il rapporto è oggetto di un provvedimento di concessione permanente, il soggetto titolare della concessione in discorso è tenuto a corrispondere regolarmente i tributi e i canoni in vigore fino al 31 dicembre 2020 e il canone patrimoniale a partire dal 1° gennaio 2021.
Pertanto i cosiddetti “spuntisti” non sono tenuti ai relativi adempimenti nei periodi di non utilizzo da parte del titolare della concessione per l’occupazione temporanea della porzione di area adibita a mercato, in quanto per quella stessa superficie il pagamento del tributo o del canone è già assolto dal titolare della concessione permanente.
Diverso è il caso in cui l’occupazione effettuata dallo “spuntista” si inquadri nelle cosiddette rotazioni, che prevedono l’utilizzazione tramite prestabilita periodica rotazione dell’insieme dei posteggi. In tale ipotesi l’occupazione effettuata dai soggetti in questione ha carattere temporaneo e beneficia dell’esenzione in quanto il soggetto occupa uno spazio di cui è titolare.
05/ Il nuovo canone unico
QUESITO
Primo quesito: considerato che in presenza contestuale dei due presupposti, di cui all’articolo 1, comma 819, lettera a), (occupazione di suolo pubblico) e lettera b), (diffusione di messaggi pubblicitari), della legge 160 del 2019, non si applica il canone per l’occupazione di suolo pubblico di cui alla lettera a), nell’ipotesi di mezzo pubblicitario installato su strada provinciale del centro abitato di un Comune con popolazione non superiore a 10.000 abitanti, la Provincia perde il gettito relativo al prelievo per l’occupazione di suolo pubblico? Inoltre, come si giustificherebbe l’eventuale assenza di gettito con il diritto di proprietà sulla strada?
Secondo quesito: stante il tenore letterale dell’articolo1, comma 821, della legge 160 del 2019, per cui le Province possono riscuotere solo canone avente quale presupposto l’occupazione di suolo pubblico, come vengono regolati i rapporti sul piano amministrativo, in ragione della circostanza che l’autorizzazione per l’installazione di mezzi pubblicitari è rilasciata dal proprietario delle strade, ai sensi del Codice della strada?
Terzo quesito: nelle strade di competenza della Provincia, si potrebbe ipotizzare una condivisione del prelievo sulla pubblicità lungo tali strade, fra Provincia e Comune?
RISPOSTA
Occorre innanzitutto ricostruire il perimetro amministrativo entro il quale interagiscono gli enti proprietari della strada nel caso di tratto di strada provinciale del centro abitato di un Comune con popolazione non superiore a 10.000 abitanti.
Diversamente da quanto indicato nel secondo quesito, il rilascio della concessione o dell’autorizzazione non è di competenza dell’ente proprietario della strada, in quanto il comma 3 dell’articolo 26, del Dlgs 285 del 1992 (Codice della strada), dispone che per i tratti di strade statali, regionali o provinciali, correnti nell’interno di centri abitati con popolazione inferiore a diecimila abitanti, il rilascio di concessioni e di autorizzazioni è di competenza del comune, previo nulla osta dell’ente proprietario della strada, che nel caso di specie è la provincia.
Una volta chiarito tale aspetto, per quanto riguarda il canone patrimoniale le norme cui si deve far riferimento sono il comma 816 dell’articolo 1 della legge 160 del 2019, laddove sostituisce il canone di cui all’articolo 27, commi 7 e 8 del Codice della strada, il successivo comma 817, il quale prevede che il canone è disciplinato dagli enti in modo da assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi sostituiti, fatta salva, in ogni caso, la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe, il comma 819, il quale distingue i due presupposti impositivi del canone in questione e il comma 820, il quale dispone che l’applicazione del canone dovuto per la diffusione dei messaggi pubblicitari esclude l’applicazione del canone dovuto per le occupazioni.
Tale principio risponde all’esigenza di evitare una doppia imposizione per la stessa fattispecie, principio che in passato era stato consolidato nell’articolo 63, comma 3, del Dlgs 446 del 1997 e che nelle nuove disposizioni trova una sua completa attuazione, poiché ricomprende anche il caso in cui gli enti coinvolti sono diversi.
Tale perdita di gettito, quindi, può essere recuperata dalla provincia sulla base di quanto stabilito dalla disposizione prevista dal comma 817.
La possibilità di condivisione del prelievo tra i due enti è esclusa dal chiaro tenore delle disposizioni appena indicate.
06/ Invarianza di gettito
QUESITO
Preso atto che l’articolo 1, comma 817, della legge 160/2019, dispone l’invarianza di gettito con la precisazione che viene «fatta salva, in ogni caso, la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe», è possibile modificare anche le tariffe standard di cui ai commi 826, 827, 827 e 829.
Per quanto concerne le fattispecie indicate, si deve precisare che sono le stesse disposizioni a stabilire la possibilità di modificare le tariffe standard. Tale possibilità, comunque, pervade l’intero complesso delle disposizioni in materia di canone, ad eccezione dei casi in cui il legislatore ha espressamente imposto dei limiti, come nel caso del comma 843 che riguarda l’occupazione effettuata nelle aree di mercato e consente un aumento delle tariffe previste per le occupazioni temporanee di cui al comma 842 nella misura massima del 25 per cento.
07/ Servitù di pubblico passaggio
QUESITO
A differenza della disciplina Tosap e della facoltà concessa in materia di Cosap, non è previsto il prelievo per le servitù di pubblico passaggio in aree private. Queste fattispecie, pertanto, vanno considerate escluse dal presupposto o sono attratte dal prelievo, in ragione del principio della dicatio ad patriam?
RISPOSTA
L’articolo 1, comma 819, lettera a) della legge 160 del 2019 prevede che il presupposto impositivo del canone è l’occupazione, anche abusiva, delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti e degli spazi soprastanti o sottostanti il suolo pubblico.
Ne consegue che il legislatore ha inteso non ricomprendere nel presupposto impositivo la servitù di pubblico passaggio. Pertanto non si può fare riferimento alla dicatio ad patriam poiché la stessa costituisce una delle modalità della costituzione della servitù di pubblico passaggio e pertanto il suo richiamo non vale a realizzare l’attrazione nel prelievo.
08/ Tariffa standard e categorie
QUESITO
La tariffa standard si applica a tutte le categorie di occupazione o è possibile prevedere modifiche alla tariffa unica di cui al comma 829?
RISPOSTA
La tariffa di cui al comma 829 costituisce anch’essa una tariffa standard, al pari di tutte le altre indicate nella disciplina del canone e come tale può essere modificata dall’ente locale in base al principio contenuto nel comma 817 e che pervade l’intero complesso delle disposizioni in materia di canone, ad eccezione dei casi in cui il legislatore ha espressamente imposto dei limiti.
09/ Sanzioni applicabili
QUESITO
In base al comma 822, l’omesso versamento comporta la qualifica di occupazione o diffusione di messaggi pubblicitari abusiva. In tale circostanza devono essere applicate le sanzioni di cui alla lettera g) ed h) del comma 821? Oppure l’ente, in aggiunta alle sanzioni amministrative pecuniarie per violazione all’articolo 7-bis del Tuel, può stabilire una specifica percentuale sul canone dovuto?
RISPOSTA
Occorre innanzitutto premettere che l’omesso versamento non vale a qualificare l’occupazione e la diffusione di messaggi pubblicitari come abusive; ed invero il comma 822 prevede che il comune, sia nel caso di fattispecie abusive o effettuate in difformità dalle prescritte concessioni o autorizzazioni, ovvero nel caso di omesso versamento, procede alla rimozione delle occupazioni e dei mezzi pubblicitari.
Nel caso di omesso versamento, quindi, non si applica la previsione di cui alla lettera g) del comma 821, ma solo la sanzione prevista dalla lettera h), stabilita in misura non inferiore all’ammontare del canone o dell’indennità di cui alla lettera g), né superiore al doppio dello stesso, ferme restando quelle stabilite dagli articoli 20, commi 4 e 5, e 23 del Codice della strada.
Non si può invece prendere in considerazione la sanzione di cui all’articolo 7-bis del Dlgs 267 del 2000, poiché la norma in questione prevede espressamente che per le violazioni delle disposizioni dei regolamenti comunali e provinciali si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 25 euro a 500 euro, salvo diversa disposizione di legge.
Quest’ultima previsione è realizzata, nel caso di specie, poiché le sanzioni applicabili sono specificamente individuate dalla lettera h) del citato comma 821, che prevede anche l’applicazione di quelle stabilite dal Codice della strada.
Tale circostanza comporta l’inapplicabilità della sanzione amministrativa di cui all’articolo 7-bis.
10/ Retroattività del regolamento
QUESITO
Stante la mancata proroga circa l’entrata in vigore del canone unico di cui al comma 816 della legge 160/2019, si chiede conferma circa la retroattività al 1° gennaio 2021 del regolamento approvato entro il 31 gennaio 2021 (data ultima prevista per l’approvazione del bilancio di previsione comunale) stante la natura di regolamento delle entrate, in base all’articolo 53, comma 16, della legge 388/2000.
RISPOSTA
Si conferma la retroattività al 1° gennaio 2021 dei regolamenti approvati entro il 31 marzo 2021, termine di approvazione dei bilanci di previsione degli enti locali, da ultimo prorogato dal decreto ministeriale 13 gennaio 2021.
Tale effetto deve essere ricondotto non solo alla disposizione contenuta nel comma 816 dell’articolo 1 della legge di Bilancio 2020, ma anche all’articolo 53, comma 16 della legge 388 del 2000, il quale stabilisce che «Il termine per deliberare le aliquote e le tariffe dei tributi locali, compresa l’aliquota dell’addizionale comunale all’Irpef di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360, recante istituzione di una addizionale comunale all’Irpef, e successive modificazioni, e le tariffe dei servizi pubblici locali, nonché per approvare i regolamenti relativi alle entrate degli enti locali, è stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione.
I regolamenti sulle entrate, anche se approvati successivamente all’inizio dell’esercizio purché entro il termine di cui sopra, hanno effetto dal 1° gennaio dell’anno di riferimento».
ATTIVITÀ DI SUPPORTO
11/ Affidamento della gestione
QUESITO
L’articolo 1 comma 805 della legge 160/2019 ha previsto l’obbligo di iscrizione in sezione separata dell’albo ministeriale per i soggetti che svolgono le attività di supporto propedeutiche alla gestione delle entrate locali.
La definizione dei criteri di iscrizione alla sezione separata devono essere adottate con apposito decreto ministeriale, al momento non ancora approvato.
Peraltro la legge 178/2020 ha prorogato di ulteriori sei mesi, dal 31 dicembre 2020 al 30 giugno 2021 il termine entro il quale le società devono adeguare il proprio capitale sociale alle condizioni e alle misure richieste.
Ebbene, la mancanza di una disposizione di regime transitorio, applicabile nelle more dell’istituzione della sezione separata dell’albo, crea dubbi interpretativi ed è peraltro foriera di contenzioso, non essendo chiaro se i Comuni, in assenza dell’istituzione della sezione speciale dell’albo, possono procedere a bandire le gare per l’affidamento delle attività di supporto e se, in caso di risposta positiva, possono prescindere dal richiedere il requisito di iscrizione all’albo, ovvero se sono tenuti (in assenza della sezione speciale) a richiedere l’iscrizione all’albo attualmente esistente.
RISPOSTA
Nelle more dell’emanazione del decreto del Mef in base al quale, a norma dell’articolo 1, comma 805 della legge 160 del 2019, sono stabilite le disposizioni generali in ordine alla definizione dei criteri di iscrizione obbligatoria in sezione separata dell’albo di cui all’articolo 53 del Dlgs 446 del 1997 per i soggetti che svolgono esclusivamente le funzioni e le attività di supporto propedeutiche all’accertamento e alla riscossione delle entrate degli enti locali e delle società da essi partecipate, si ritiene che tali soggetti debbano comunque richiedere l’iscrizione nell’albo in questione.
RIFIUTI
12/ Tari delle attività industriali
QUESITO
Il decreto legislativo 116/2020 ha apportato significative modifiche al Dlgs 152/2006 (Testo unico ambientale, Tua), alcune delle quali sono entrate in vigore dal 1° gennaio 2021.
In particolare, l’articolo 183, comma 1, lettera b-ter), qualifica “rifiuti urbani” i «rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies».
L’articolo 184 del Tua, come modificato dal decreto legislativo 116/2020, dispone al comma 2 che sono rifiuti urbani quelli di cui all’articolo 183, comma 1, lettera b-ter); mentre al comma 3, lettera c) sono qualificati rifiuti speciali «i rifiuti prodotti nell’ambito delle lavorazioni industriali se diversi da quelli di cui al comma 2».
Alla luce del mutato quadro normativo, e considerato che nell’allegato L-quinquies non è presente l’attività industriale, si chiede:
- Primo quesito: se le attività industriali siano comunque tenute al pagamento della quota fissa.
- Secondo quesito: se le attività industriali, producendo comunque rifiuti urbani nei locali ed aree diverse da quelle destinate a lavorazioni industriali (come uffici, mense, eccetera), siano tenute a pagare anche la quota variabile con riferimento a tali superfici.
RISPOSTA
Per rispondere a entrambi i quesiti, occorre ricordare, in breve, che il decreto legislativo 116 del 2020 è stato emanato per dare attuazione alle direttive 2018/851, che modifica la direttiva 2008/98/Ce relativa ai rifiuti, e 2018/852, che modifica la direttiva 1994/62/Ce sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio.
In particolare, l’articolo 3 della direttiva 2018/851 precisa la nozione di “rifiuti urbani” a livello comunitario, stabilendo che essa include:
-i rifiuti domestici indifferenziati e da raccolta differenziata, ivi compresi: carta e cartone, vetro, metalli, plastica, rifiuti organici, legno, tessili, imballaggi, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, rifiuti di pile e accumulatori, e rifiuti ingombranti, ivi compresi materassi e mobili;
-i rifiuti provenienti da altre fonti, indifferenziati e da raccolta differenziata, che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici.
I rifiuti urbani non includono i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione.
Le novità introdotte a livello comunitario hanno comportato una serie di modifiche del decreto legislativo 152/2006, cosiddetto Tua (Testo unico ambientale), che hanno riguardato, tra gli altri, l’articolo 183, che interviene, tra l’altro, sulle definizioni di rifiuto e il successivo articolo 184, che riguarda la classificazione dei rifiuti.
In particolare, l’articolo 183, comma 1, lettera b-ter), punto 2 prevede che rientrano tra i rifiuti urbani «i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies» e in quest’ultimo, come correttamente indicato nel quesito, non è presente l’attività industriale.
L’articolo 183, comma 1, lettera b-sexies) dispone, altresì, che i rifiuti urbani non includono i rifiuti della produzione.
Tuttavia, l’articolo 184, comma 3, lettera c) inserisce tra i “rifiuti speciali” i rifiuti prodotti nell’ambito delle lavorazioni industriali, se diversi da quelli di cui al comma 2, ossia dai rifiuti urbani; per cui dalla lettura combinata delle norme emerge che le attività industriali possono essere produttive sia di rifiuti urbani che speciali.
Per definire correttamente il perimetro di applicazione della Tari per le attività industriali è, quindi, necessario individuare le superfici che producono rifiuti speciali e quelle che, invece, producono rifiuti urbani.
Alla luce del quadro normativo delineato, si ritiene che possano considerarsi produttive di rifiuti speciali le superfici di lavorazione industriale, le quali, conseguentemente, sono escluse dall’applicazione della Tari.
Allo stesso modo devono escludersi le superfici ove, a norma del comma 649 dell’articolo 1 della legge 147 del 2013, si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali nonché i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di attività produttive di rifiuti speciali.
Resta impregiudicata, invece, l’applicazione della Tari, sia per la quota fissa che per quella variabile, in riferimento alle superfici produttive di rifiuti urbani, come, ad esempio, mense, uffici, servizi, depositi o magazzini, non essendo funzionalmente collegati alle attività produttive di rifiuti speciali.
13/ Uscita dal servizio pubblico
QUESITO
L’articolo 198, comma 2-bis (introdotto dal Dlgs 116/2020) del Tua prevede che le «utenze non domestiche possono conferire al di fuori del servizio pubblico i propri rifiuti urbani previa dimostrazione di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi. Tali rifiuti sono computati ai fini del raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio dei rifiuti urbani».
Il comma 10 dell’articolo 238 del Dlgs 152/2006 (introdotto dal Dlgs 116/2020, sebbene la Tia 2 risulti non più applicabile), dispone che «le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani di cui all’articolo 183 comma 1, lettera b-ter) punto 2, che li conferiscono al di fuori del servizio pubblico e dimostrano di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti; le medesime utenze effettuano la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato per un periodo non inferiore a cinque anni, salva la possibilità per il gestore del servizio pubblico, dietro richiesta dell’utenza non domestica, di riprendere l’erogazione del servizio anche prima della scadenza quinquennale».
Sulla base della lettura combinata degli articoli 198 e 238 si chiede:
- Primo quesito: se l’uscita dal pubblico servizio possa operare con riferimento a tutte le frazioni di rifiuto urbano prodotte dall’utenza non domestica (carta, plastica, eccetera), oppure se l’azienda può chiedere di uscire dal servizio pubblico producendo anche un contratto relativo ad una sola frazione di rifiuto;
- Secondo quesito: nel caso in cui l’azienda non possa uscire dal servizio pubblico se non contrattualizzando tutte le frazioni di rifiuto urbano, se il Comune sia tenuto a riscrivere il proprio regolamento per trasformare la riduzione della parte variabile della tariffa ancorata ai rifiuti speciali assimilati (ex articolo 1, comma 649, legge 147/2013), non più presenti nel 2021 in riduzione per rifiuti urbani “simili” avviati al recupero, in modo tale da riconoscere comunque non solo alle aziende una riduzione proporzionale della parte variabile, ma anche di continuare a permettere l’azzeramento della parte variabile senza che sia necessario uscire dal pubblico servizio.
RISPOSTA
Le norme sopra riportate non sono di semplice lettura in quanto non si coordinano con le disposizioni già vigenti in materia di Tari. Inoltre, l’articolo 3, comma 12, del Dlgs 116 del 2020 modifica il comma 10 dell’articolo 238 del Dlgs 152 del 2006, non più vigente.
In disparte tali considerazioni, il comma 10 dispone che le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani, che li conferiscono al di fuori del servizio pubblico e che dimostrano di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi, sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti.
La norma subordina, quindi, l’esclusione dal pagamento della quota variabile, ossia quella rapportata alla quantità di rifiuti, al conferimento di tutti i rifiuti urbani al di fuori del pubblico servizio e al loro avvio al recupero per un periodo di almeno cinque anni.
Diversamente, l’articolo 1 comma 649 della legge 147 del 2013, il quale non è stato inciso dal comma 10 sopra menzionato, prevede che «per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della Tari, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati».
Quest’ultima norma presenta ancora il riferimento ai rifiuti assimilati, categoria non più esistente, per cui lo stesso va attualizzato sostituendolo con i rifiuti urbani, secondo le nuove disposizioni recate dal Dlgs 116 del 2020.
Va altresì evidenziato che, a differenza del comma 10 dell’articolo 238 del Dlgs 152/2006, che riguarda l’abbattimento della «componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti» nel caso di avvio al recupero, l’articolo 1, comma 649 parla di rifiuti che «il produttore dimostra di aver avviato al riciclo», laddove il riciclo costituisce un’operazione di recupero.
Pertanto, stante il diverso ambito applicativo delle norme riportate, che investe esclusivamente la parte variabile e che quindi non dovrebbe comportare in ogni caso la totale esclusione dal pubblico servizio, si ritiene che le stesse debbano essere contenute nel regolamento comunale, ciascuna secondo le proprie specificità, con la conseguente necessità di adeguare il regolamento stesso al nuovo quadro normativo.
In altri termini, se un’utenza non domestica intende sottrarsi al pagamento dell’intera quota variabile, deve avviare al recupero i propri rifiuti urbani per almeno cinque anni, come stabilito dal comma 10 dell’articolo 238 del Tua.
Se, invece, l’utenza non domestica vuole restare nel solco della previsione del comma 649 dell’articolo 1 della legge 147 del 2013, tenendo conto di quanto disciplinato dal regolamento comunale, la stessa può usufruire di una riduzione della quota variabile del tributo proporzionale alla quantità di rifiuti urbani che dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati, senza sottostare al vincolo di cinque anni fissato dal predetto comma 10.
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