In appello, e non in Cassazione, l’opposizione all’esecuzione
La sentenza emessa a seguito dell’opposizione all’esecuzione è impugnabile con atto di appello e non con ricorso in Cassazione. Questa regola vale anche quando all’esito del giudizio di rinvio, precedentemente disposto dalla Cassazione, il giudice, nonostante siano state originariamente proposte con un unico ricorso l’opposizione agli atti esecutivi e l’opposizione all’esecuzione, qualifichi quest’ultima come domanda giudiziale anche se irritualmente avanzata solo in sede di riassunzione.
In questo caso, la qualificazione dell’azione compiuta dal giudice del rinvio equivale ad un nuovo giudizio, la cui sentenza finale può essere solo appellata. È questo il principio espresso dalla Cassazione con l’ ordinanza 14302/18 , al termine di un giudizio che ha avuto inizio con l’opposizione proposta contro un’intimazione di pagamento contenuta nella cartella esattoriale con cui l’agente della riscossione aveva ingiunto la corresponsione di sanzioni amministrative. Nel caso di specie, con l’unico atto venivano avanzate contestualmente sia l’opposizione all’esecuzione sia agli atti esecutivi.
La sentenza del giudice di pace che rigettava l’opposizione agli atti esecutivi, perché tardivamente proposta, veniva impugnata in Cassazione, che rimetteva nuovamente la questione al primo giudice il quale, a seguito della riassunzione del giudizio, accoglieva il ricorso ritenendo la pretesa avanzata prescritta. Contro il provvedimento del giudice di pace, il contribuente ha proposto ricorso in Cassazione.
Nell’affrontare i motivi di impugnazione avanzati dal ricorrente, la Corte, prima di entrare nel merito delle singole doglianze, ha preliminarmente verificato l’ammissibilità dell’impugnazione diretta in Cassazione, escludendola.
I giudici partono subito dalla constatazione che, data la natura dell’oggetto del giudizio consistente in un’opposizione all’esecuzione, l’unico mezzo di impugnazione esperibile è l’appello. Ciò in considerazione che, per giurisprudenza costante, l’individuazione del gravame deve essere fatta in base al principio dell’apparenza, cioè sulla base della qualificazione dell’azione compiuta dal giudice, indipendentemente, quindi, dalla prospettazione fatta dalle parti.
Nella fattispecie, il giudice di merito aveva assunto a base della decisione il fatto che si trattava di opposizione all’esecuzione. Dirimente a questo proposito è stata la circostanza che, nel caso in questione, il giudice di merito aveva ritenuto l’inesistenza del diritto a procedere all’esecuzione per l’intervenuta prescrizione del credito.
Non si trattava, dunque, di opposizione agli atti esecutivi, azione questa diretta a verificare la regolarità degli atti del procedimento esecutivo, ma di opposizione all’esecuzione. La Corte di cassazione ha anche rilevato come l’ atto di opposizione, contenente motivi attinenti all’esecuzione e agli atti esecutivi, non fa venir meno, anche in sede di rinvio, la possibilità che il giudice si pronunci pure sulla domanda che precedentemente non era stata esaminata; anche perché quest’ultima non poteva essere censurata in sede di legittimità ove il giudizio era stato incardinato in relazione all’opposizione agli atti esecutivi.
Secondo queste considerazioni, la qualificazione dell’azione giudiziale in opposizione all’esecuzione ha fatto sì che la sentenza impugnata è come se fosse stata emessa all’esito di un nuovo giudizio e, in quanto tale, impugnabile esclusivamente con l’appello.
Cassazione, VI sezione civile, ordinanza 14302 del 5 giugno 2018