I temi di NT+Modulo 24

Indagini finanziarie con prelievi giustificabili per esigenze di cassa

La Cassazione ha accolto l’istanza del tabaccaio che ha motivato prelievi giornalieri tra i 200 e i 500 euro per dare il resto ai clienti

di Alessandro Borgoglio

La prova contraria alla presunzione che assiste gli accertamenti fondati sulle indagini finanziarie (impropriamente ma più comunemente detti «accertamenti bancari») è sempre stata pretesa in modo piuttosto rigoroso dalla Corte di cassazione, ma un recente arresto sembra aprire qualche ulteriore spiraglio a favore dei contribuenti.

Prelevamenti da giustificare per i soli imprenditori
In base all'articolo 32, comma 1, n. 2), del Dpr 600/1973, i dati ed elementi attinenti ai rapporti finanziari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto a imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti finanziari. Analogamente, ai fini Iva, l’articolo 51, comma 2, n. 2), del Dpr 633/1972 stabilisce che i dati ed elementi attinenti ai rapporti finanziari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili.

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità e costituzionale, le presunzioni che assistono le indagini finanziarie, applicabili nei confronti tanto degli imprenditori quanto dei lavoratori autonomi (ma anche nei confronti dei privati, limitatamente ai versamenti) sono di tipo legale relativo, per cui il Fisco è soltanto tenuto a dimostrare le movimentazioni bancarie, senza null’altro dover provare ai fini dell’accertamento, mentre grava sul contribuente l’onere della prova contraria (Cassazione 2432/2017, 14806/2015, 16896/2014, 22540/2012; Corte costituzionale 225/2005).

Al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente, per cui le movimentazioni bancarie risultanti dai dati acquisiti dall’ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale (Cassazione 17156/2018, 20408/2018, 3447/2017, 27075/2017).

La presunzione sui prelevamenti, peraltro, opera ormai soltanto per gli imprenditori e non anche per i lavoratori autonomi (si veda la sentenza 228/2014 della Consulta).

Esenzione da prova contraria fino a 5mila euro mensili
Una certa attenuazione del rigore probatorio richiesto ai contribuenti si è avuta con l'articolo 7-quater, comma 1, lett. b), del Dl 193/2016, con cui il legislatore ha stabilito che la presunzione riguardante i prelevamenti opera solo «per importi superiori a 1.000 euro giornalieri e, comunque, a 5.000 euro mensili»: tali soglie, essendo riconducibili a una norma che ha natura sostanziale, non si possono applicare retroattivamente (Cassazione 19774/2020), ovvero agli accertamenti antecedenti al 3 dicembre 2016.

Come chiarito dalla Guardia di Finanza, con la circolare 1/2018, la previsione sui prelevamenti fissa ora un doppio limite quantitativo, che va letto in via congiunta, assumendo l’irrilevanza fiscale di tutti i prelievi sino a concorrenza della somma mensile di 5mila euro, a patto che i prelevamenti e gli importi riscossi non superino il limite giornaliero di mille euro. In altri termini, l’utilizzo della congiunzione copulativa “e” fra le due soglie fa ritenere che tra le medesime esista un rapporto di progressività, nel senso che il limite mensile di 5mila euro esprima un tetto massimo per i prelevamenti giornalieri per importi inferiori a mille euro: la seconda franchigia non costituisce, dunque, un “bonus” sui prelevamenti da riconoscersi in ogni caso bensì una limitazione a tutela dell’interesse fiscale.

Detta interpretazione, suffragata anche dalla scelta lessicale dell’avverbio “comunque” per rafforzare il nesso di correlazione tra la soglia giornaliera e quella mensile, sembra meglio contemperare le opposte esigenze di semplificazione e mantenimento di un adeguato presidio fiscale.

Conseguentemente, il contribuente continua a essere gravato dall’onere previsto dal regime presuntivo di imponibilità per i prelevamenti: eccedenti la soglia giornaliera di mille euro, seppur inferiori a quella di 5mila euro mensili; di importo inferiore a mille euro, che nel complesso superino la soglia mensile di 5mila euro.

Sebbene la norma non lo preveda espressamente, la doppia franchigia normativamente fissata ha riguardo ai prelevamenti non risultanti dalla contabilità e, più in generale, non afferenti all’attività d’impresa, effettuati sia in contanti che con modalità tracciate (bonifici, pagamenti tramite pos, carte di credito ecc.), che il contribuente riconduca, in sede di contraddittorio, a spese di carattere personale o familiare. Non va escluso, chiaramente, che possano essere riconducibili a spese di natura personale anche prelievi di importo superiore alle citate soglie ma, in questo caso, deve essere il contribuente a fornirne la prova, anche in via presuntiva, che potrà essere valutata secondo i criteri sopra descritti.

Giustificato il prelievo di spiccioli per il resto
Con la Cassazione 12599/2022 è stato esaminato il caso di un tabaccaio a cui, in relazione al periodo d’imposta 2010, quindi antecedentemente alle modifiche legislative del 2016, il Fisco aveva contestato prelevamenti non giustificati per circa 70mila euro: si trattava di molti prelievi giornalieri di modesti importi compresi tra i 200 e i 500 euro. Il contribuente aveva eccepito che si trattava di prelevamenti riconducibili alle esigenze di cassa dell’attività, atteso che con tali operazioni avrebbe prelevato monete o banconote di piccolo taglio per dare il resto ai clienti che pagavano con banconote di grosso taglio, ma l’Ufficio non gli aveva creduto.

I giudici di piazza Cavour, invece, hanno confermato la decisione con cui il collegio di merito aveva ritenuto integrata la prova della riferibilità delle movimentazioni in uscita dal conto corrente alle dedotte esigenze di gestione della tabaccheria, stante i plurimi e circostanziati elementi costituiti:
a) dai modesti importi dei prelevamenti variabili tra 200 e 500 euro;
b) dal fatto che il contribuente aveva versato in conto settimanalmente in un’unica soluzione una somma corrispondente alla sommatoria dei prelievi effettuati nello stesso periodo;
c) dall’indicazione della banca, dopo aver aggiornato il proprio software negli ultimi mesi del periodo di imposta, della causale «prelevamento moneta» o «prelievo spiccioli».
Del resto - hanno aggiunto i giudici di legittimità - stante la cadenza giornaliera dei prelievi di modesto importo è pressoché impossibile pretendere che il contribuente possa fornire in modo analitico la prova della destinazione di ciascuna operazione.

Le conclusioni appaiono particolarmente rilevanti perché, sebbene al caso della pronuncia in oggetto non si applichino le soglie di esenzione di mille e 5mila euro introdotte dal 2016 e già sopra indicate, tuttavia, anche qualora fossero state applicabili, trattandosi al più di 5mila euro mensili, non sarebbero comunque stati “coperti” i 70mila euro annui contestati dal Fisco e, quindi, ad esempio, per un analogo accertamento sul periodo d’imposta 2020, con le nuove regole e soglie, sarebbero probabilmente rimasti “scoperti” circa 20.000 euro, accertabili in capo al contribuente. Però, come confermato anche nella sopra citata circolare della GdF, resta pur sempre salva la facoltà del contribuente di fornire la prova contraria extrasoglia. Pertanto, nell’esempio proposto relativo al regime vigente, il contribuente ben potrebbe far valere - per quanto residua extrasoglia - un quadro probatorio presuntivo analogo a quello presentato nel caso della pronuncia odierna, per cui i giudici di merito hanno ritenuto integrata la prova contraria, con il placet della Cassazione.

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