Imposte

Iri: convenienza da calcolare bene per un’opzione che impegna per 5 anni

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di Luca Gaiani

Società di persone alla ricerca della convenienza Iri. Anche se per la prima opzione (2017-2021) ci sarà tempo fino a settembre del 2018, le imprese, chiudendo i conti del 2016, cominciano a valutare se il carico fiscale di quest’anno sarebbe stato più o meno elevato in presenza della nuova tassa piatta.
Le variabili da considerare sono diverse (alcune delle quali fondate su un testo normativo ancora in evoluzione), ma, se ci limitiamo ad un conteggio approssimativo, è sufficiente basarsi su due elementi.

Il primo elemento: l’imponibile

L’Iri, di fatto, tassa al 24% tutti e solo i redditi trattenuti in società. Se l’impresa procede, per necessità o per scelta, ad erogare sistematicamente l’intero utile dell’esercizio ai soci, questi ultimi pagano ordinariamente su tutto il risultato di bilancio (analogamente alle società trasparenti) e la tassa piatta scatta solo sull’eventuale eccedenza di imponibile rispetto all’utile per effetto delle variazioni fiscali (si veda l’articolo di Deotto sul Sole 24 Ore del 18 maggio 2017). Un beneficio rispetto alla tassazione ordinaria potrebbe dunque rimanere, ma non risulterà in genere rilevante.
Ad esempio. Una Snc, con due soci al 50%, consegue un utile di 500 mila euro che - tra prelievi in corso d’anno e saldo ad approvazione bilancio – distribuisce interamente ai soci (e deduce dall’imponibile Iri). La società ha costi indeducibili (auto, telefonia e Imu) per 15 mila euro.

L’imponibile (se per semplicità ipotizziamo che tutti i prelievi siano effettuati in corso d’anno) è pari a (500.000 + 15.000 – 500.000) = 15.000 con un’imposta Iri di 3.600. Adottando l’Iri, i soci risparmiano l’Irpef progressiva (43%, visto il reddito ipotizzato nell’esempio) e le addizionali su 15.000 euro (nel complesso circa 6.500 euro). Il beneficio effettivo (6.500 – 3.600 = 2.900 euro) non pare tale da consigliare l’ingresso nel regime, che, come noto, genera complicazioni non di poco conto e pone un vincolo di ben 5 anni.


Il secondo elemento: l’aliquota

Occorre poi verificare le aliquote di imposta. Il differenziale di aliquota da tenere in considerazione per determinare il tax saving è dato dal confronto tra il 24% e l’aliquota Irpef dei soci. Se questo differenziale è modesto (qualche punto percentuale), è chiaro che, anche in presenza di utili trattenuti in azienda, il beneficio potrebbe non essere tale da giustificare la scelta. Riprendiamo l’esempio precedente ed ipotizziamo che la società abbia 15 soci con percentuali paritetiche. Il reddito di impresa imputabile a ciascun socio è pari a 33 mila euro (1/15 di 500 mila) con Irpef di circa 9 mila euro a testa, con un’aliquota media di circa il 27%. Il differenziale di aliquota è dunque pari al 3% a favore dell’Iri: 300 euro di risparmio ogni 10 mila euro di utili trattenuti. Anche in questa situazione, è assai dubbio che convenga entrare nel regime.

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