Imposte

L’antieconomicitá della gestione non intacca la detraibilitá dell’Iva

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di Chiara Vanni

L’Amministrazione finanziaria non può disconoscere il diritto alla detrazione dell’Iva assolta sugli acquisti sulla base del concetto di antieconomicità dell’operazione, a meno che questa non assuma dimensioni tali da rilevare quale prova di non verità della fattura. Anche in questo caso, comunque, l’onere della prova circa la manifesta e macroscopica antieconomicità è a carico del fisco qualora non venga contestata l’attendibilità delle scritture contabili. È quanto viene ribadito dalla sentenza della Cassazione n. 25999 del 10 dicembre scorso, in continuità con l’orientamento già espresso dalla Suprema Corte a giugno (sentenza n. 12502) e, più volte, dalla Corte di Giustizia europea.
I giudici di legittimità cassano con rinvio la sentenza di secondo grado impugnata dal contribuente che, confermando la decisione di prime cure, aveva definito legittimo l’avviso d’accertamento emesso dall’Agenzia con il quale si negava la detraibilità dell’Iva assolta relativamente a servizi forniti da società facenti parte del medesimo gruppo.
In base alla giurisprudenza formatasi in materia, il concetto di antieconomicità della gestione, nato in relazione alle contestazioni aventi ad oggetto le imposte dirette, segna il margine entro cui considerare legittima la libertà d’iniziativa economica dell’imprenditore (articolo 41 della Costituzione). Oltre, quando cioè chi svolge un’attività economica non tenda alla riduzione dei costi e alla massimizzazione dei ricavi, la tutela dell’interesse pubblico a che sia rispettato il principio di capacità contributiva risulta prevalere. Per quanto riguarda le componenti di costo, la conseguenza è molto spesso costituita dall’indeducibilità dal reddito della parte di corrispettivo eccedente il valore normale del bene o della prestazione ricevuti, considerata non inerente da un punto di vista quantitativo.
Gli stessi principi non sono però automaticamente applicabili in materia di Iva. Il meccanismo di funzionamento di tale tributo, infatti, operando attraverso gli istituti della detrazione e della rivalsa, garantisce la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività, a prescindere dallo scopo e dai risultati delle stesse, purché poste in essere da soggetti passivi d’imposta, prevedendosi un’interruzione di detto meccanismo soltanto quando il bene o servizio venga reso al consumatore finale.
Come affermato dalla Corte Europea (Corte giust. 20 gennaio 2005, causa C-412/03 e 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/11) la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore rispetto al valore normale di mercato non risulta sufficiente ad integrare le fattispecie di elusione od evasione fiscale, relativamente all’Iva, nel caso in cui entrambe le parti siano soggetti passivi d’imposta, poiché è solo a livello del consumatore finale che può ricorrere perdita di gettito fiscale.
A questo si aggiunga che l’articolo 73 della Sesta Direttiva Cee – e l’articolo 13 del Dpr 633/1972 – stabilisce come la base imponibile per il calcolo dell’Iva sia costituita dal corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore. Allo stesso modo, l’articolo 17 della Sesta Direttiva Cee – e, sulla scorta di questo, l’articolo 19 del Dpr 633/1972 – riconduce il diritto alla detrazione dell’Iva all’esigibilità e all’inerenza dell’acquisto del bene o servizio, senza contemplare alcun riferimento diretto al valore del bene o servizio. Riferimento presente, invece, all’articolo 80 della stessa direttiva, laddove è lasciata facoltà agli Stati membri di fissare la base imponibile al valore normale se le operazioni sono svolte nei confronti di destinatari legati da particolari rapporti, familiari o giuridico-patrimoniali. Tale norma, dettata in funzione antielusiva e attualmente non tradotta nell’ordinamento giuridico italiano, ha portata restrittiva e non è estendibile oltre i confini che le sono propri.
La base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio effettuate a titolo oneroso è quindi costituita dal corrispettivo stabilito tra le parti ed effettivamente ricevuto dal soggetto passivo e non un valore stimato secondo criteri oggettivi. Pertanto, in condizioni normali, all’amministrazione non è consentito rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dall’imprenditore escludendo il diritto alla detrazione se il valore sia ritenuto antieconomico. Una verifica in tal senso è invece ammessa, eccezionalmente, nel caso in cui «l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione rilevi quale indizio di non verità del prezzo o, ancora, di non esistenza dell’inerenza e cioè della destinazione del bene o del servizio acquistati ad essere utilizzati per operazioni assoggettate a Iva».

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