Controlli e liti

L’elevata liquidità in conto corrente non configura condotta antieconomica

Deducibili gli interessi del credito bancario, scelta insindacabile dell'impresa secondo la Ctr Puglia 1345/4/2020

immagine non disponibile

di Marco Nessi e Roberto Torelli

La scelta della società di mantenere un’elevata liquidità di cassa rientra nell’ambito delle insindacabili scelte imprenditoriali e, pertanto, non può configurare l’esistenza di una condotta antieconomica. È questo l’interessante principio che è stato espresso dalla Ctr della Puglia nella sentenza 1345/4/2020 (presidente De Bari, relatore Di Carlo).

Nel caso esaminato, successivamente alla verifica fiscale condotta e al relativo processo verbale di constatazione emesso, l’agenzia delle Entrate notificava degli avvisi di accertamento nei confronti di una società di capitali in base all’articolo 39, comma 1, lettera d) e 41 del Dpr 600/73, contestando, per l’anno 2013, ai fini delle imposte sui redditi e Iva, la mancata fatturazione di prestazioni rese negli anni precedenti (ancorché le stesse fossero già state imputate nel conto economico del bilancio) e l’irregolare deduzione di interessi passivi bancari. In particolare quest’ultimo rilievo era basato sulla considerazione del fatto che, secondo l’orientamento dell’ufficio, la giacenza media di denaro contante risultante nel conto cassa non avrebbe giustificato la decisione della società di ricorrere al credito bancario. Dopo una sentenza di primo grado favorevole al contribuente, l’agenzia delle Entrate proponeva appello dinnanzi alla commissione tributaria regionale, insistendo sulla natura antieconomica del comportamento tenuto dalla società.

In questa sede veniva ribadito che la decisione della società di ricorrere al credito bancario non poteva essere considerata sostenibile, in quanto lesiva dei principi di ragionevolezza cui dovrebbero sottostare le scelte aziendali. Oltre a ciò, con riferimento al secondo rilievo, veniva ribadita la violazione degli articoli 21 e 23 del Dpr 633/72 per l’omessa esibizione di documentazione probatoria in grado di supportare le ragioni del mancato incasso delle prestazioni che erano state effettuate negli atti precedenti.

Nel rilevare l’infondatezza della pretesa erariale, il collegio giudicante ha respinto anche in secondo grado l’appello dell’ufficio, condannando quest’ultimo a rimborsare le spese giudiziali e gli oneri accessori. In particolare è stato evidenziato che la necessità di mantenere una liquidità di cassa rientra nelle insindacabili scelte imprenditoriali, quand’anche quest’ultime dovessero essere contestabili in presenza di un irragionevole saldo positivo della cassa in relazione al volume d’affari e alla dimensione aziendale.

Nel caso specifico, considerato che la società aveva prodotto un volume di affari pari a 2,5 milioni e operava con oltre 40 dipendenti, il possesso di una liquidità di cassa pari a 54.670,91 euro è stato considerato ragionevole e giustificabile in considerazione della necessità della società di dover assicurare pagamenti immediati. In particolare, questa somma è stata considerata non eccessiva in rapporto alla volontà di quest’ultima di accedere a rapporti di natura finanziaria, di non rilevante entità, non eseguibili con le tipiche operazioni bancarie.

Infine, con riferimento al secondo rilievo, è stato riconosciuto che la registrazione in contabilità della prestazione nell’esercizio di competenza non poteva giustificare la richiesta della corrispondente Iva in quanto, in assenza di pagamento, la società non era tenuta a emettere la relativa fattura.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©